Conversazione tra Gianni Sarro(*) e Letizia Piredda
LP. Clint Eastwood è stato considerato per lungo tempo un regista classico. La sua progressiva affermazione autoriale però ha evidenziato sempre di più come l’etichetta di classico fosse riduttiva e inadeguata a cogliere la complessità del suo stile. Credo sia utile partire proprio dalle caratteristiche salienti del cinema classico per poi capire l’uso che ne fa Clint.
GS. Il cardine, l’architrave del cinema classico è quella di avvolgere lo spettatore in un’atmosfera, nel quale lasciarlo scivolare in maniera soave, senza scosse, narrandogli una storia che abbia una continuità narrativa comprensibile. La struttura del racconto si sviluppa attraverso tre atti: la posizione iniziale, la trasgressione, la minaccia, il pericolo ed infine la ricomposizione dell’ordine, il ripristino della sicurezza. Centinaia di film rispettano questa linea narrativa, da due capolavori di Hawks come Susanna, una romantic comedy a Un dollaro d’onore, western da cinque stellette, a Lo squalo di Spielberg action movie che ha segnato un’epoca, a Un uomo tranquillo, forse l’unica, riuscitissima, commedia di John Ford. Tutti questi film hanno in comune le caratteristiche a cui accennavamo nelle righe precedenti, alle quali aggiungerei l’assoluta trasparenza del linguaggio cinematografico, ossia nessun intervento che possa destare nello spettatore il sospetto di stare ad assistere ad un film. Ovverosia la sospensione dell’incredulità. Attenzione, tuttavia, a non generalizzare. Pensiamo a Sentieri selvaggi. Ha tutte le caratteristiche del cinema classico. Eppure l’eroe, ovvero il protagonista Ethan/John Wayne è un tipo un po’ problematico, che ad un certo punto sembra intenzionato ad uccidere la nipote perché ha vissuto troppo a lungo con i Pellerosse. Alla fine si riscatta, eppure rimane fuori dalla cornice dell’armonia ricomposta rappresentata da una casa e si avvia solitario non si sa dove.
LP. In uno dei tuoi articoli più recenti [1]dici che Clint affonda le radici nel cinema classico, ma viene definito un regista postclassico, in quanto ripensa le forme classiche, le rivisita, le complica. Ci puoi fare un esempio?
GS. Certo, un esempio esplicito della classicità della messa in scena adottata da Eastwood è la scena di Million Dollar Baby dove Maggie e Frank (Eastwood) tornano dalla visita fatta alla madre di lei. Da quando i due sono in macchina alla sosta nel caffè dove fanno una torta al limone squisita, le inquadrature ci mostrano immagini plastiche e lente, costruite a partire dai soggetti/attori, dalla disposizione dei corpi all’interno del quadro in funzione delle relazioni psicologiche, all’uso sistematico della figura del campo/controcampo. Questa forma classica di messa in scena tuttavia non ci porta verso un contenuto altrettanto classico. Conosciamo il film e l’evoluzione della storia di Million Dollar Baby non ci porta sicuramente verso un lieto fine, ossia uno dei pilastri del cinema classico. Del suo linguaggio.
LP. E’ come se Clint utilizzasse le forme del cinema classico ma poi ne contraddice l’evoluzione, ne nega la logica. E’ questo quello che s’intende per postclassicismo?
GS Assolutamente sì. Pensiamo a Mystic River: è un film non lineare, non trasparente, si attorciglia su se stesso, senza catarsi finale, nega qualsiasi lieto fine, niente si ricompone. Chi aveva perduto quasi tutto (Dave) finisce col perdere anche la vita. Sean, il personaggio del poliziotto (interpretato da un bravissimo Kevin Beacon), non riesce a fare giustizia, nell’ultima immagine in cui lo vediamo non sembra in grado di perseguire penalmente Jimmy, autore dell’omicidio di Dave. In questa scena prevale l’ambiguità,
simboleggiata dagli occhiali scuri indossati da Jimmy. Ma soprattutto dobbiamo ricordare la macchina da presa che finisce il suo racconto inabissandosi nel fiume, togliendo al nostro sguardo ogni aspettativa di chiarezza. Di soluzione.
LP. Ci sono altri elementi nei film di Clint che vanno nella direzione opposta al classicismo?
GS. Ma per esempio la contaminazione dei generi. Anche se è qualcosa che possiamo trovare in parte anche nel cinema classico. Pensiamo ad Ombre rosse. Nel più classico degli western classici troviamo una bella linea narrativa romantica (la liaison amorosa tra Ringo e Dallas, i due reietti). È indubbio che col passare del tempo la contaminazione tra i generi è diventato sempre più frequente. Ad esempio in Gran Torino si va dal western al thriller fantastico, dalla commedia di tipo sociologico alla tragedia, passando da un registro comico-drammatico-ironico.
LP. Per concludere, forse è utile estrapolare dalle cose che abbiamo detto, quelli che, a tuo avviso, sono i nuclei basilari che ci permettono di comprendere, almeno in parte, la complessità del cinema di Clint.
GS. Anzitutto il suo talento sta nell’aver saputo complicare l’idea di un cinema lineare e semplice. Inoltre è riuscito a contaminare uno stile classico di racconto, con una morale che risulta aperta, discutibile tutt’altro che classica. E’ per questo che non ci stanchiamo mai di guardarlo e di studiarlo!
(*) Gianni Sarro tiene Corsi di Cinema presso la Libreria Tra le righe Viale Gorizia, 29- Roma
Note
[1] Gianni Sarro. Clint Eastwood
[2] In Mystic River il gesto di Sean Penn nel finale, richiama quello di Mastroianni ne La dolce Vita, un vero omaggio di Clint a Fellini.
Analisi assai interessante. I film di Eastwood mi avevano quasi innervosito, mi sembrava che volesse scimmiottare una certa complessità del cinema europeo, lui l’attore con due espressioni: con o senza cappello!, ora sono una fanatica appassionata estimatrice dei suoi film. E questo articolo mi ha chiarito alcuni aspetti del mio fanatismo.