di Letizia Piredda
Intervista a Pino Moroni (*)
Il Cinema coreano e il cinema asiatico, in generale, sta riscuotendo un successo crescente già da diversi anni. Tra gli ultimi film usciti nelle sale, uno che ha avuto riconoscimenti importanti è Minari. Perché tanto successo?
Una volta c’era Kurosawa (Rashomon, Derzu Uzala), Zang Yimou (Lanterne rosse), Wong Kar Wai (In the mood for love), Kitano (Hana Bi), Kim Ki Duk (Primavera, estate, autunno, inverno, ecc.), il cinema orientale che vinceva premi occidentali era solo per cineforum, per iniziati. Tra tutti i registi orientali (cinesi, giapponesi, taiwanesi, hongkonghesi, coreani ecc.), oltre quelli da blockbusters, solo quelli come Ang Lee e John Woo, vivendo in America e usando gli stilemi, il lessico e la tecnologia inglese erano quelli che avevano più successo di pubblico. Quindi non vedrei questo grande successo del cinema asiatico in occidente. Il primo più importante, premiato con l’Oscar come film americano e di grande successo mondiale è stato l’altro anno Parasite di Bong Joon-ho.
Anzi è emblematico proprio il film Minari, che malgrado i premi ricevuti ed una impostazione da american-film (anche se ha preso il Golden Globe come miglior film straniero) sta mostrando invece le difficoltà degli orientali a farsi digerire dagli occidentali.
Minari racconta una storia molto conosciuta che possiamo chiamare American dream: è solo una ripetizione o introduce qualche elemento nuovo?
Minari non sta andando molto bene al botteghino (in USA ha avuto una distribuzione limitata, in Italia va meglio perché si può vedere in streaming) ed è anche molto criticato negativamente. Il passaparola è che non solo non dice qualcosa di nuovo sulla conquista dei grandi fertili spazi americani, di cui è pieno il cinema della frontiera, e del favoloso posto al sole che la stessa Costituzione americana propaganda come “american dream”, presente nella quasi totalità dei film hollywoodiani, ma mostra i difetti innati del cinema orientale: la lentezza e la ripetuta quotidianità, fatta di situazioni, atti, pensieri (un dejà vu).
Cosa non proprio vera a guardare bene perché anche Minari ha un suo sviluppo e tante contrapposizioni di idee che oggi più che mai sono (anche a sproposito) il sale della terra. “Non succede niente ed è lento e noioso” vuol dire che ormai se un intreccio non si complica e non intriga il nostro cervello (anche con azioni cervellotiche) non vale niente, e se tutti non corrono e succedono tante cose non vale il tempo ‘perduto’.
Come si coniuga nel film l’American Dream con le dinamiche affettive di una famiglia allargata?
In un film lento come questo e con luoghi comuni sulla vita familiare rurale (orientale) del profondo Arkansas, ripetute scene agresti e metereologiche con musiche da favola disneyana, ho trovato, più che in altri film di cosiddetta denuncia o di contenuto civile e sociale, le contrapposizioni tra concetti fondamentali, certo già ben noti: tra aspirazione personale ad un futuro capitalista ed amore solidale familiare, tra desiderio di vita agreste e vita di città, tra famiglia moderna separata e famiglia tradizionale, incomprensioni ed affetti profondi tra uomo e donna, tra vecchi e bambini, relazioni tra religioni precostituite (buddismo e cristianesimo) e cultura animista o superstiziosa. Senza un finto messaggio morale, ma con lo scopo finale solo di stemperare tutte le ‘insignificanti’ tensioni che nascono da età, sesso, razze, ideologie, tradizioni, leggi, religioni, e comportamenti ‘umani’.
Dove hai trovato il richiamo più profondo alla tradizione popolare coreana?
Sicuramente nel bambino David magistralmente interpretato dal piccolo Alan S. Kim. Il regista Lee Isaac Chung, che ha raccontato in fondo una parte della sua infanzia negli anni ‘80, con un gioco di specchi, ha reso la nonna vissuta in Corea in un mondo arcaico e tradizionale, molto moderna e disinvolta (non sa cucinare, è golosa, dice parolacce, non sa fare la nonna, gioca accanita a carte, ama gli sport violenti). Mentre il bambino, pur non conoscendo affatto il suo paese d’origine, sembra il più conservatore nel voler far rispettare agli altri le tradizioni orientali, come se le avesse impresse nel suo DNA, non accettando ancora bene il sistema di vita americano. E questa è in fondo l’idea del regista (bambino cresciuto), che malgrado abbia raggiunto anche il successo occidentale sente ancora il legame profondo alle sue radici.
Verrebbe da chiedersi: ma Minari è un film americano o un film coreano?
Il regista coreano naturalizzato, Lee Isaac Chung, connazionale del protagonista-produttore Steven Yeung, attore affermato nelle serie televisive, che è riuscito a trovare produttori americani famosi alla ricerca del successo (vedi Brad Pitt), sta cercando una strada nuova rispetto ai suoi predecessori, ormai convertiti allo ‘studio system’ standard americano, mantenendo in un film a suo modo minimale ed elegiaco, una sceneggiatura composita fatta di filosofia e tradizioni orientali ed allo stesso tempo di moderno pragmatismo americano. Tutto attraverso la storia della famiglia del protagonista e la figura carismatica e ambivalente della vecchia nonna, Yoon Yeo-jeong, premio Oscar come attrice non protagonista, in contraltare all’operaio Paul, il bravissimo vecchio attore Will Patton, agli altri tranquilli e religiosi coltivatori ed all’industria agricola americana dei polli in batteria (solo pulcini femmine) e della vendita di ortaggi con sapori coreani al dettaglio.
Una volta quindi vedere un film orientale serviva ad allargare le conoscenze su un mondo lontano ed anche nuovo. Oggi con la globalizzazione e la contaminazione di civiltà che si stanno infettando (come una pandemia), l’uso di forme e contenuti diversissimi (orientale-occidentale) si mescolano in un melting-pot, che può sembrare ad un primo giudizio molto originale, ma in realtà non è altro che una completa omologazione universale.
Vedi anche Intervista su Minari a Tano Pirrone
(*) Pino Moroni giornalista pubblicista ha collaborato con varie testate, e con varie agenzie stampa. Esperto di cinema asiatico, attualmente collabora con vari siti web tra cui Artapartofculture