di Pino Moroni
La mancata uscita dei film nelle sale già dal marzo 2020 ed il passaggio sulle piattaforme (Netflix, Prime Video, Nowvideo, Disney, Infinity, ecc.) hanno portato un affollamento di pellicole da visionare per i premi italiani dei David di Donatello e dei Nastri d’Argento. Che equivalgono come è noto a quelli americani-internazionali degli Oscar e dei Golden Globe.
Ma al di là della moltiplicazione dei film a disposizione di tutti, la constatazione da fare oggi è che la maggior parte di essi parlano (malgrado i cambiamenti in atto dovuti alla pandemia) di una società italiana ancora pervasa di quello che Luca Ricolfi ha ben definito con il complesso della “Società signorile di massa”.
In Italia infatti ancora si sente solo dire che tutti sono stanchi dei lockdown e che non si vede l’ora di ritornare a vivere come una volta. Appunto in un paese in cui ormai si produceva poco e si consumava molto, dove una larga parte della popolazione aveva accesso a consumi opulenti ed esageratamente esibizionisti (seconda casa, seconda macchina, tecnologia varia, weekend lunghi e ripetuti in resort locali o vacanze in località esotiche, ristoranti, uso smodato di carte di credito per comprare on line cibo, vino, medicine alternative e quant’altro di superfluo).
Come alla fine del boom economico (1950/1975) e della relativa commedia all’italiana, Ettore Scola aveva girato la summa di quel periodo nel film “C’eravamo tanto amati”, così alla fine del ciclo di diffuso benessere (1980/2020), determinato soprattutto da stipendi e pensioni fissi, risparmi ed investimenti pregressi delle vecchie generazioni del boom, è stato realizzato il film “Gli anni più belli” di Gabriele Muccino, un regista che ha sempre cercato il più ampio consenso raccontando la stessa storia di amore e tradimenti, (vedi “L’ultimo bacio”) dentro un sistema consumistico che sembrava non dovesse mai finire.
Che cosa succederà alla fine della pandemia non è dato sapere ora, ma sicuramente il cinema che anticipa e segue la realtà, parlerà di altri temi già emergenti, forse più sgradevoli di quelli raccontati finora.
Già intanto i fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo con il film “Favolacce” ne anticipano alcuni. I fratelli D’Innocenzo che avevano lavorato al soggetto del film “Dogman” di Matteo Garrone, hanno conquistato l’Orso d’Argento per la migliore sceneggiatura a Berlino nel 2020, come era successo nel 1957 al film “Padri e figli” (anticipo della commedia all’italiana), parlando appunto dei rapporti familiari tra padri e figli, in una società umana, sociale e materiale oggi completamente cambiata.
Lo stesso titolo dice che la favola del benessere e della frustrazione di non poter avere tutto tutti (ossia di far parte ad ogni costo di quella società signorile di massa) è diventata una ossessione che porta solo invidia, disprezzo, risentimento, infelicità. Arrivismo economico, spregiudicatezza senza più scopi etici, in una continua deriva di compromessi, in balia di un pericoloso disagio esistenziale. E si ripercuote soprattutto sulle generazioni future, che non avendo più buoni esempi, possono diventare, tra violenza ed orrore criminale (leitmotiv collettivo) anche molto cattivi.
In questa situazione ed in quella che si presenterà dopo la pandemia non c’è più spazio per quella signorilità ostentata con i consumi esagerati degli ultimi anni. Ed i giovani, abituati ad andare in giro la notte e dormire coccolati di giorno, senza studiare più di tanto, abituati a non accettare lavori non corrispondenti alle loro aspirazioni, dovranno fare uno sforzo enorme per ritornare a lavori precari part time, flex job, sussidiati.
Per dire che la maggior parte dei film visionati per i maggiori premi italiani sono ancora immersi nella favola del benessere, con i lussi, le vacanze, le crisi esistenziali, gli amori ed i tradimenti, i debiti e gli imbrogli di un’epoca finita, a seguire una lista esemplificativa.
“Addio al nubilato”. Un film che frequenta i luoghi più esclusivi del lusso (ristoranti, hotel, boutiques, ecc.), “Un grande Amore e niente più” nei luoghi più belli per far innamorare della bella vita. “Burraco fatale” la noia che può portare a dipendenza dal gioco. “Cambio tutto”, lo stress di una vita senza scopo, immersa nei luoghi comuni della commedia urbana (desideri sessuali, tranquillanti e profittatori vari). “Divorzio a Las Vegas” sui sogni più lontani di ricchezza. “E’ per il tuo bene”. Tre padri più o meno benestanti che diventano ridicoli per salvare le figlie da rapporti che non gradiscono (un’altra donna, un vecchio compagno di giovinezza, un giovane rapper).
“Easy living, la vita facile”. Ambientato a Ventimiglia tra tennis club, cene a lume di candela e vecchi film anni ’40. “Figli”. Tra lavori precari, nonni ricchi e stravaganti, amici incasinati e indifferenti Sara e Nicola aspettano un altro figlio. “Gli indifferenti”. Remake del film anni ’60 in cui si legge in filigrana la crisi di valori e di soldi attuale. “Gli infedeli”. Cinque storie di uomini infedeli alle prese con mogli, fidanzate ed amanti nel lusso degli hotel e dei viaggi esotici. “I predatori”. L’incontro tra borghesi intellettuali e proletari fascisti in un Italia piena di ipocrisia e compromessi.
“Immoral Love”. Come chiedere un prestito, rubare denaro, e chiedere favori sessuali facendo finta di girare un film. “Istmo”. Storia di un solitario recluso con vita parallela da influencer. “La partita”. Mentre il mondo continua a vivere e morire la partita è il momento più importante di sempre. “La rivincita”. Porca miseriaaa! “La scelta giusta”. Da imprenditore hi-tech all’abuso di alcool e droga. “L’ultimo piano”. Storia di precarietà che costringe i protagonisti a mettere in discussione la loro vita e misurarsi con la realtà (finalmente): distribuito dalla Scuola d’Arte Cinematografica Gian Maria Volontè.
“La volta buona”. Come fare i soldi con un fenomeno uruguaiano, il solito Pablito, che sfonderà nel calcio italiano. “Lacci”. Guerra tra genitori separati in un Italia becera senza più sacralità familiare e figli irrimediabilmente traumatizzati. “Magari” ritratto di una famiglia alto borghese in crisi (Elkann Agnelli). “Magari resto”. Preparativi con amiche per un matrimonio che non si farà mai. “Un figlio di nome Erasmus”. Non è mai troppo tardi per realizzare i sogni di quando vent’anni prima si era fatto un Erasmus in Portogallo. “Villette con ospiti”. Splendida famiglia borghese in ricca cittadina del nord con pubbliche virtù e tutti i vizi capitali, conditi di meschinità e violenza, nel privato.
Sono state pubblicate in questi giorni le nomination dei David di Donatello per le 22 categorie di premi, tra cui miglior film, miglior regista, miglior attrice e attore protagonisti e non protagonisti, miglior montaggio, scenografia, effetti speciali, ecc.
“Volevo nascondermi” biopic sul pittore Antonio Ligabue di Giorgio Diritti è il film che ha avuto il maggior numero di candidature (15), tra cui miglior film, regia, effetti visivi ed attore protagonista (Elio Germano).
14 nomination sono andate al film “Hammamet” di Gianni Amelio, altro biopic sugli ultimi anni di Bettino Craxi in Tunisia con Pierfrancesco Favino, candidato come miglior attore protagonista.
Favolacce, forse il più favorito, ha conquistato 13 candidature.
“L’incredibile storia dell’isola delle rose” di Sidney Sibilia (film su una micronazione creata da un ingegnere su una piattaforma al largo di Rimini nel 1968) e Miss Marx altro biopic su Eleonor, figlia ed erede ideologica di Karl Marx, entrambi con 11 nomination.
Favorita come miglior attrice protagonista Sofia Loren per “La vita davanti a sé” diretta dal figlio Edoardo Ponti.
Il regista Gabriele Muccino ha contestato le scelte della giuria che ha candidato il suo film “Gli anni più belli” solo con la nomination di Micaela Ramazzotti come miglior attrice e Claudio Baglioni per la colonna sonora del film.
La premiazione avverrà in diretta in prima serata su Raiuno, e sarà presentata da Carlo Conti.