di Tano Pirrone
Giovedì 27 gennaio è il “Giorno della memoria”, in cui con numerose iniziative si commemorano le vittime dell’Olocausto. Nel 2005 volle così l’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Il giorno prescelto per l’annuale celebrazione è il memorabile giorno in cui le truppe della gloriosa Armata Rossa, impegnate nell’offensiva Vistola-Oder con obiettivo la Germania, liberarono il campo di concentramento di Auschwitz.
Le truppe sovietiche, al comando del Maresciallo Ivan Konen, giunte nella cittadina polacca di Oświęcim (in tedesco Auschwitz), scoprirono l’omonimo campo di sterminio nazista, in cui morirono, secondo stime più volte contestate e riconsiderate fra un milione e centomila e due milioni di internati; non è accreditata, ma si pensa possibile, la cifra di tre milioni.
In un solo campo… di lavoro: Arbeit macht frei, il lavoro rende liberi.
Difficile essere, di fronte ad un vergognoso attentato alla dignità della Persona umana, indulgenti, eppure, l’umorismo cresce anche in questo fango di polvere e sangue e si nutre di cenere e carne. E’ come la vita che spunta contro ogni legge di natura dalla tragedia per urlare la sua forza e le sue ragioni. L’Oxford Languages (il poderoso produttore di dizionari) definisce così: «Capacità di rilevare e rappresentare il ridicolo delle cose, in quanto non implichi una posizione ostile o puramente divertita, ma l’intervento di un’intelligenza arguta e pensosa e di una profonda e spesso indulgente simpatia umana.»
Sono pochi i film che affrontano il dramma della Shoa in chiave umoristica – impresa difficoltosissima e pericolosa; ma bisogna riconoscere che quei pochi sono arma possente; indelebile ricordo delle ragioni dei Vinti, degli Oppressi, dei Morti, delle Vittime innocenti. Fra essi ricordiamo: Train de vie – Un treno per vivere di Radu Mihaleanu (1998); Bastardi senza gloria (Inglourious Basterds) di Quentin Tarantino (2009). Ad essi aggiungiamo per giusto merito e senza complesso alcuna di inferiorità l’ottimo Lezioni di persiano (Persian Lessons) di Vadim Perelman (2020). Il film sta ancora su Sky ed è indispensabile vederlo: presentato all’ultima Berlinale Special è basato sul racconto Erfindung Einer Sprache (Invenzione di una lingua) scritto da Wolfgang Kohlhaase e pubblicato nel 2004. All’interno di un campo di concentramento che fa da ponte temporaneo per la deportazione in Polonia e il successivo sterminio, il fulcro di questo thriller è un duetto che lascia poco spazio ai personaggi di contorno, analizzando il rapporto servo-padrone tra un ebreo dal nome Gilles che si finge persiano e un SS tutto d’un pezzo appassionato dalla lingua farsi.
1942, Francia occupata. Gilles viene arrestato da soldati della SS insieme ad altri ebrei, e trasportato in un campo di transito in Germania. Riesce a salvarsi, giurando alle guardie che non è ebreo, ma persiano. Questa bugia lo salva temporaneamente, ma lo trascina in una impresa che potrebbe costargli la vita: insegnare il farsi a Koch, l’ufficiale responsabile delle cucine del campo, che sogna di aprire un ristorante in Iran appena la guerra sarà finita.
Grazie ad un trucco ingegnoso, Gilles riesce a sopravvivere inventando ogni giorno parole di persiano e insegnandole a Koch. L’insolita relazione fra i due uomini solleva le gelosie di altri prigionieri e di altre guardie delle SS nei confronti di Gilles. E mentre i sospetti di Koch aumentano di giorno in giorno, Gilles si rende conto che non sarà in grado di mantenere a lungo il suo segreto…
Un libro sui miti persiani barattato con mezzo panino mentre ci si avvia verso un campo di concentramento è lo sliding door iniziale che separa la sopravvivenza dalla condanna. Ciò che segue è un curioso apologo sull’identità e sul valore della memoria, da intendersi come spinta individuale a restaurare allegoricamente quella più ampia, riferita alla portata storica del genocidio. Narrativamente il film è di una semplicità quasi disarmante. Strutturato rigidamente in quattro atti, ognuno dei quali è punteggiato da un turning point che esaspera il concetto di suspense proprio di tutto il film. Infatti, più che essere una vicenda esistenziale immersa in una tragedia storica, come la maggior parte dei film sulla Shoah, Lezioni di persiano è un vero e proprio thriller, in bilico continuo tra “un campo minato e la palude”, come dice il disilluso poliziotto francese incontrato dal protagonista in fuga dal campo.
Lezioni di persiano (Persian Lessons)
Regia: Vadim Perelman – Attori: Nahuel Pérez Biscayart (Gilles), Lars Eidinger (Klaus Koch), Jonas Nay (Max), Leonie Benesch (Elsa), Alexander Beyer (Comandante), Luisa-Céline Gaffron (Jana), David Schütter (Paul), Mazximilian Anthony (American Soldier), Marcus Calvin (American Investigator), Giuseppe Schillaci (Marco) – Soggetto: Wolfgang Kohlhaase – (racconto) – Sceneggiatura: Ilja Zofin – Fotografia: Vladislav Opelyants – Musiche: Evgueni Galperine, Sacha Galperine – Montaggio: Vessela Martschewski, Thibault Hague – Scenografia: Dmitriy Tatarnikov, Vlad Ogai – Costumi: Alexey Kamyshov – Suono: Boris Voyt-
Durata: 127′ – Colore: C – Genere: DRAMMATICO – Specifiche tecniche: (1:2.39) – Tratto da: racconto “Erfindung einer Sprache” di Wolfgang Kohlhaase – Produzione: ILYA STEWART, MURAD OSMANN, PAVEL BURIA, ILYA ZOFIN, VADIM PERELMAN, TIMUR BEKMAMBETOV, RAUF ATAMALIBEKOV PER HYPE FILM, LM MEDIA, ONE TWO FILMS, BELARUSFILM – Distribuzione: ACADEMY TWO