di Paola Catarci e Letizia Piredda
Siamo in Canada, in una scuola di Montreal: un fatto devastante spezza di colpo la routine scolastica: un’insegnante si è tolta la vita proprio nella classe dove insegnava. E’ da qui che prende le mosse Monsieur Lazhar[1], un film non molto conosciuto, che però riesce a trattare temi importanti con grande delicatezza. E li tratta a partire dalle diverse reazioni con cui si cerca di affrontare l’evento traumatico: quella ufficiale della scuola, cui si contrappone quella informale e autentica del nuovo maestro e quella dei ragazzi che, con stili diversi, cercano di uscire dalla spirale di angoscia e di smarrimento.
La reazione della scuola è rapida e senza tentennamenti: lo affronteremo tutti insieme dice la preside alla riunione con i genitori e gli alunni della classe, ma poi delega tutto alla psicologa.
Una ripittura della stanza è sufficiente ad allontanare i fantasmi, come anche l’intervento a porte chiuse della psicologa. In base alle regole scolastiche il contatto fisico tra insegnanti e alunni è stato azzerato, per evitare il rischio di violenze e di seduzioni. Meglio che l’insegnante abbia un ruolo asettico di dispensatore di conoscenze, piuttosto che attribuirgli il difficile compito di educatore. Tutte scelte all’insegna dell’efficienza e di un totale controllo della situazione.
Completamente all’opposto la modalità con cui il nuovo maestro, Bachir Lazhar, instaura il rapporto con gli alunni: li osserva e aspetta che siano loro ad aprire la comunicazione sul tragico evento. La stessa modalità informale e autentica, con cui entra in rapporto con la Preside prima e tutto il corpo insegnante, poi.
Forse non a caso, il film porta come titolo il suo nome: chissà che gli autori non abbiano voluto sottolineare, con questa scelta, quanto una modalità autentica, non formale, intrisa della stessa sofferenza dei suoi allievi, consenta al protagonista di affrontare, riparare la valenza traumatica, offrendo ai suoi ragazzi una via riparativa ed elaborativa.
Che cosa consente che questo intervento sia risolutivo? Perché il maestro funziona meglio di tutto l’apparato istituzionale scolastico?
Perché Lazhar sta vivendo, ha vissuto un trauma analogo: dal di fuori, ex abrupto, qualcuno o qualcosa ha divelto i legami familiari a lui più cari.
Bachir guarda la foto della moglie e delle due figlie
Nello stesso modo la classe, come gruppo e come singoli, vive qualcosa di analogo: col suo gesto la maestra Martine ha divelto il legame di fiducia e la possibilità di affidarsi dei suoi alunni.
Il racconto, che si dipana nell’arco dell’anno scolastico, passando dal cortile innevato ai colorati vestiti estivi della festa di fine anno, è l’occasione per un ritratto dell’età pre-adolescente.
Gli allievi di Lazhar sono ragazzini ancora cosi dipendenti dai genitori ( vedi il rapporto di Alice con la Madre) ma anche terribilmente affamati di rapporti tra pari ( le alterne vicende di vicinanza e rottura tra Simon ed Alice).
Sono ragazzini tra gli 11 ed i 13 anni, che stanno attraversando quella che molti psicoanalisti dell’adolescenza chiamano la fase pubertaria, il momento del non più e non ancora.
Non più bambini, non ancora pieni adolescenti.
La dimensione infantile li trattiene e li richiama regressivamente, mentre sono affascinati dalla qualità nuova ed inedita della condizione di adolescenti.
Tra gli psicoanalisti c’è chi teorizza questa fase come una situazione conflittuale, di rottura degli equilibri precedenti, e chi invece ne sottolinea la caratteristica di graduale passaggio tra l’infanzia e l’adolescenza propriamente detta[2].
Il film ci offre una terza via, molto poetica ed appropriata: il maestro Lazhar parla della crisalide, concetto che implica una metamorfosi, una trasformazione.
La forza di Lazhar deriva dalla sua storia: espatriato clandestinamente dall’Algeria, ha perso moglie e figlie in un attentato terroristico.
Di fronte al suicidio dell’insegnante Martine, si pone con franchezza dalla parte dei suoi alunni: il tema che Alice legge in classe, un vero atto di accusa verso la maestra suicida, è considerato da lui – giustamente – un passaggio elaborativo del trauma che i ragazzi hanno vissuto.
La lettura psicoanalitica dell’atto suicidario ne sottolinea la componente auto ed eteroaggressiva[3]. Certamente, nel film, rimane sospeso, inspiegato ed inspiegabile, il senso del gesto dell’insegnante. Sembrerebbe che quest’ultima abbia cercato, col suicidio, di formulare un atto di accusa contro l’istituzione scuola, investendo però, a cascata, anche la psiche dei suoi alunni
Lazhar ci appare allora come la risposta evolutiva possibile: il guaritore ferito che apre la strada all’elaborazione del trauma. E l’abbraccio finale, contro tutte le regole, tra lui e Alice, è la testimonianza di una capacità di resilienza e di superamento, attraverso la forza dei legami, del trauma da cui insegnante e allievi, su versanti diversi, sono stati colpiti.
Anche se tutto questo non basterà a costruire un happy end: la condizione di rifugiato di Lazhar, che aveva tenuta nascosta per ottenere il posto, sarà considerata un elemento insormontabile: dovrà lasciare il suo incarico ed i suoi alunni, che impareranno così, dal vivo dell’esperienza, che si può essere giusti e non essere salvati.
Note
[1] Monsieur Lazhar, 2011 di Philippe Falardeau. Tratto da una pièce
teatrale della drammaturga e scrittrice Évelyne de la Chenelière, che, nel
film, fa la parte della mamma di Alice. Lo scenografo è Emmanuel
Frechette e il direttore della fotografia è Ronald Plante, con il montaggio
di Stephane Lafleur e la musica di Martin Leon.
[2] Peter Blos. L’adolescenza. Un’interpretazione psicoanalitica. Franco
Angeli, 1980
Philippe Gutton. Il genio adolescente. G.Monniello Editore, 2009
[3] S.Freud. Lutto e melanconia. In: Opere, 8, Torino, Boringhieri, 1977, pp.
102-118
J.Hillman. Il suicidio e l’anima. Adelphi Edizioni, 2014