In occasione del 25 novembre, Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, pubblichiamo una delle bellissime interviste di Lorenza con Phillida Lloyd, regista del film Herself-La vita che verrà presentato alla Festa del Cinema di Roma, che parla del coraggio delle donne.
di Lorenza Del Tosto
ponzaracconta.it
Phyllida Lloyd
Ci hanno sempre affascinato, nei film di fantascienza, le conversazioni tra i protagonisti e lontani interlocutori che facevano la loro comparsa sul mega schermo di navicelle spaziali o di abitazioni futuristiche ben attrezzate. C’era qualcosa di mitico in quelle apparizioni a cui lo schermo conferiva un’aura divina, oracolare. Ed è con questo ricordo che varchiamo la soglia del Teatro 2 nei sotterranei dell’Auditorium: un tempio del futuro dove è montato il grande schermo per il collegamento con Phyllida Lloyd regista teatrale con soli due film all’attivo bastati a renderla famosa anche in Italia: Mamma Mia e The Iron Lady (il biopic su Margaret Thatcher). Teatro o cinema, le protagoniste sono donne forti, combattive. Indomitable. Come ripeterà sorridendo nel corso della giornata. Indomita è Sandra la protagonista del suo terzo film Herself – La vita che verrà, presentato oggi 23 ottobre, alla Festa del Cinema di Roma.
Attraversiamo il Teatro 2, immerso nella penombra; solo poche luci e il viso luminoso di Phyllida Lloyd, affilato e intenso, occhi chiari, capelli biondi lisci e corti, che troneggia, sul grande schermo, in mezzo alla stanza. Ci sovrasta, anche se in foto è minuta. Ma mentre risponde alle indicazioni dei tecnici, a lei invisibili, abbiamo l’impressione, più che di un oracolo, di un animale cieco chiuso nella gabbia dello schermo. Il suo sguardo non spazia, suo unico orizzonte i punti esatti dove siederanno i giornalisti per le loro domande e noi, che ci aggiriamo ai margini di quella zona ristretta, proviamo una sorta di pudore nei confronti della strana creatura che riesce a cogliere la vita attorno solo attraverso voci e rumori.
– Il suo nuovo film, ambientato in Irlanda, è profondo e, incredibilmente, leggero nonostante il tema della violenza domestica – commenta il primo giornalista appollaiato sulla sedia che fronteggia lo schermo.
– Proprio come l’anima irlandese – risponde Phyllida con un sorriso mentre la luce, che guizza sulle pareti alle sue spalle, ci parla di nuvole che si rincorrono nel cielo, ovunque lei si trovi – dove tragedia e commedia convivono: una persona muore e il minuto dopo si stappa una bottiglia e ci si mette a ballare, buio e luci, fiaba incantata e selvaggia, è lo spirito di Santa Brigida patrona dell’Irlanda.
Vita e morte si rincorrono nel film come le nuvole alle sue spalle: le scene iniziali così dolorose, il pericolo e la minaccia sempre incombenti, soprattutto nel momento in cui una donna decide di fuggire dal suo aguzzino. Il momento più rischioso, quello in cui è più probabile che trovi la morte. Ma anche volontà di farcela: quando si esce da un incubo, c’è un’esplosione di energia, ci sono speranza e persone disposte ad aiutare .
E irlandese è Clare Dunne, attrice meravigliosa, da noi sconosciuta, che viene dal teatro. Lei ha scritto la storia e lei interpreta Sandra: una giovane donna che fugge da un marito violento, insieme alle due figlie piccole, e decide, dopo aver letto su Internet i consigli di un architetto, di costruirsi una casa da sola.
Phyllida Lloyd l’aveva diretta a teatro in un progetto visionario: Shakespeare tutto al femminile, in carcere ed è lì, in carcere, che è nato il germe del film.
– L’idea alla base del progetto teatrale era: diamo a queste donne, le reiette della società, i gioielli della corona della letteratura inglese e vediamo cosa ne viene fuori – spiega Phyllida – Nella vita di molte donne che incontravamo in carcere c’era stata violenza, nell’infanzia o subita dal compagno che avevano accanto.
Poi un giorno Clare, che era a New York per delle audizioni, riceve la mail di un’amica disperata, in fuga dal marito con i tre figli e senza una casa dove andare, allora il ricordo del carcere e la rabbia di fronte all’impotenza dell’amica l’hanno spinta a sedersi a scrivere una storia di riscatto. Non aveva mai scritto una sceneggiatura, l’ha riscritta per anni. Si è documentata moltissimo”.
C’è un orgoglio di madre nella voce di Phyllida Lloyd quando parla della sua attrice. – La madre di Clare ha lavorato come donna delle pulizie come Sandra nel film, e lei si è battuta per questa storia, l’ha voluta anima e corpo. Sapeva che i produttori l’avrebbero scartata, come protagonista, per la macchia che ha sotto l’occhio. A teatro non si nota, ma sullo schermo è un ostacolo. Ma io sapevo quanto fosse importante questo progetto per lei, e ho pensato che se avessi accettato di dirigere il film, avrei potuto imporla.”.
Harriet Walter, Clare Dunne and Phyllida Lloyd
C’è qualcosa di molto luminoso in questo sodalizio artistico di regista e attrice (di attrici dovremmo parlare includendo anche Harriet Walter, Peggy nel film, anche lei della squadra Shakespeare al femminile) che si riaccende ad ogni nuova intervista. Phyllida non può vedere come ogni nuovo giornalista incede e avanza, baldanzoso o esitante, verso di lei, né come si difende dall’imbarazzo, dalla fretta e dalla ammirazione. Non capta, regista attenta ai dettagli, cosa c’è dietro i gesti delle mani, dietro i sorrisi, quei tratti sottili e unici che creano movimento anche nelle situazioni più statiche: un ballare del piede, un’occhiata in tralice, il sale della vita e delle relazioni umane, tutto si perde, resta solo la parola a cui afferrarsi:
– Ma è davvero possibile costruirsi una casa da soli, senza esperienza? – Vuole sapere il giornalista e Phyllida Lloyd spiega pragmatica che, prima di iniziare le riprese, lei e Clare hanno seguito un corso per “la casa fai da te”. È stato duro ma interessante. E si addentra nei dettagli, come se il giornalista, uscendo di qui, dovesse correre davvero a gettare le fondamenta.
– C’è bisogno di un piccolo aiuto professionale, ma soprattutto di una comunità attorno che sia disposta ad aiutare.
La comunità disposta ad aiutare, il sostegno dei vicini, ha un nome specifico in irlandese: meitheal . Fatta di uomini e donne perché Herself – La vita che verrà è un film fatto da donne dove però, i personaggi maschili, quasi tutti, sono figure simpatiche, calorose, sempre pronte a darsi da fare.
Ed è meitheal, quel senso di comunità, che brilla ora negli occhi di Phyllida, lei britannica aperta al mondo: – Sin da ragazza ho sempre cercato fuori, in altre terre, la mia ispirazione: in Russia, in Polonia, dovunque fosse, purché lontano.
Racconta momenti e aneddoti durante le riprese del film, che sembrano rincorrersi, inseguendo la sua voce, sullo schermo: ridere insieme, costruire insieme una casa, insieme nella natura e insieme nelle carceri a offrire i gioielli dell’anima. Insieme. Come se solo insieme, attrici e regista, potessero incarnare l’eterna vitalità del femminino, la rigenerazione della madre terra, per dare energia a tutte le donne in pericolo, eroine sempre, quelle che decidono di restare e quelle che decidono di fuggire, forti e fragili e indomite: – C’è una storia di millenni di subalternità femminile da colmare. Nonostante i tanti anni di esperienza alle spalle, dopo tanti successi, io mi chiedo ancora: avrò un nuovo lavoro, sarò degna di averlo? Noi donne ci sentiamo sempre da meno.
Una scena dal film Mamma Mia! del 2008 diretto da Phyllida Lloyd, adattamento cinematografico dell’omonimo musical, basato sulle musiche del gruppo svedese ABBA
L’enorme successo di Mamma Mia non è garanzia sufficiente, a quanto pare. E in questa penombra del teatro dove non cogli l’altro, dove l’altro è solo un viso che si muove e occhi che cercano un appiglio dallo schermo, quel senso di comunità, quella parola “Insieme” è groppo di nostalgia nel cuore.
“Forse Mamma mia è stata un’anomalia nel mio lavoro.” Spiega Phyllida e alle sue spalle ora, sullo schermo, si intravedono i vetri di una finestra e alberi che si agitano al vento attraversati dalla luce. – Sempre, da quando ho iniziato a fare teatro a 20 anni, ho voluto fare cose che non fossero state già fatte, ci sono temi di cui non si parla mai e ruoli che le donne non interpretano mai e il mio istinto va sempre lì.
Anche in questo film però, come in Mamma mia, c’è tanta musica, ed è una musica che sorprende e spiazza nei momenti cupi: sono i brani che Sandra, trentenne della classe lavoratrice, potrebbe avere idealmente sul suo iPod: musica commerciale, ma anche musica indie irlandese. A suggerire che la violenza può insinuarsi nella vita di ogni giorno, di ragazze che ascoltano la musica e amano ballare.
– La violenza esplode improvvisa come ripetizione di cose viste, di violenze vissute. Il seme germina nei cuori di ragazzi che a quella violenza hanno assistito senza che nessuno vi si ribellasse. E parlando di educazione sentimentale, ai ragazzi, soprattutto in questo periodo, manca la parte più complessa dell’innamoramento. Una delle cose più difficili nelle relazioni umane: trovarsi da soli con un’altra persona in una stanza”. La vita a tu per tu con i gesti, gli occhi, tic, fremiti, mani, odori, e i sapori dell’altro.
L’uscita del film in Italia, distribuito dalla BIM, era prevista per il 25 novembre, Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne. Ma ora chissà.
– Non importa – le mani di Phyllida fremono sullo schermo – se nella clausura, dove la violenza si consuma senza testimoni, una donna riuscisse a vedere questo film e a trarne coraggio e ispirazione, sarei felice. Se avrà dato speranza anche ad una sola persona andrà bene.
E con un ultimo saluto, un sorriso e un gesto di commiato, come da film di fantascienza che si rispetti, il viso di Phillyda si dissolve.
Nel teatro si smantellano e ripongono le attrezzature, lo schermo è spento, ma una presenza aleggia ancora nell’aria.
La soluzione che l’oracolo ha proposto: costruirsi una casa da soli, seguendo le istruzioni sulla rete, ha lasciato qualche dubbio, film troppo ottimista, ha detto qualcuno, ma il volto sullo schermo aveva tratti volitivi che non si prestavano al buonismo. E poi c’era un messaggio più profondo. Senza svelare nulla del film, la scena finale ci dice che, come nelle famiglie si semina la brutalità, nelle famiglie si semina anche il coraggio, un altro modo di affrontare i fallimenti.
Success is the way you face your failures (*). I figli imparano la violenza oppure imparano a rialzarsi anche dopo la peggiore delle cadute.
Quel responso ci tiene incollati alla sedia nella penombra. Fatichiamo ad andarcene. Come la piccola fiammiferaia cerchiamo cerini che riportino sullo schermo la luminosa apparizione. Vorremmo annusarne l’odore, assaporare il calore delle mani e il guizzo degli occhi e portarla con noi nei teatri vuoti, nei cinema chiusi, perché arrivino a confortarci dallo spazio i segnali dell’arte e della sua speranza, nascosti -oggi sembrano – a distanze lontane, siderali.
(*) Il successo è il modo con cui affronti i tuoi fallimenti