Chiudiamo questa breve e interessante rassegna su Gianni Amelio con il suo ultimo film: Hammamet, 2019. Film divisivo, osannato da alcuni, anche per la superba interpretazione di Favino, molto criticato dai più. Personalmente , dopo aver visto il film, il mio sentimento prevalente è stato un’irritazione fortissima, mista a noia. Continuavo a chiedermi perchè Amelio avesse voluto fare un film su Craxi come uomo, e non come uomo politico, e comunque l’avversione per il personaggio Craxi e l’aspettativa, del tutto infondata, di trovare delle risposte alla vicenda politica di Craxi e del Psi, non mi hanno permesso di apprezzare più di tanto il film, fatta salva la performance eccezionale di Favino. D’altra parte io ho una regola: se non mi piace un film di un regista che io considero valido, non lo butto ai pesci ma cerco di capire. Così ho letto vari commenti e recensioni ma le riflessioni non erano soddisfacenti. Finchè non ho letto la recensione di Alberto Crespi che finalmente è riuscita a darmi un’interpretazione soddisfacente. Eccola qui di seguito.
la Redazione
Hammamet
di Alberto Crespi
strisciarossa.it
Hammamet, il nuovo film di Gianni Amelio, vive all’interno di una fertile contraddizione. Da un lato la prova di Pierfrancesco Favino nei panni di Bettino Craxi (superiore a qualunque aggettivo esistente nella lingua italiana, bisognerà inventarne di nuovi) è di assoluta filologia e di spasmodico realismo: Favino diventa Craxi, ne riproduce l’aspetto grazie al trucco prostetico realizzato da Andrea Leanza (in America sarebbe un Oscar sicuro) – ma soprattutto ne restituisce la voce, i toni, i gesti delle mani con una cura che è un autentico viaggio nel tempo; solo in alcuni primissimi piani, osservando con attenzione e conoscendo bene l’attore, si capisce che gli occhi sono i suoi, che sotto la maschera esiste ancora l’uomo Favino. Alla filologia fisiognomica si aggiunge quella geografica: il film è girato nella vera villa di Craxi in Tunisia, concessa dalla famiglia. D’altro canto, invece, la narrazione degli ultimi mesi di vita del segretario Psi nell’esilio di Hammamet è totalmente libera, a cominciare dalla scelta di non nominare mai nel film la parola “Craxi” e di non dare nomi a nessun personaggio, salvo a quelli immaginari (categoria nella quale bisognerebbe tecnicamente inserire il personaggio della figlia, che nel film si chiama Anita: come tutti sanno Craxi ha due figli, Stefania e Vittorio Michele detto Bobo, che nel film c’è, come personaggio, ma non viene mai chiamato per nome). Amelio è partito dalla concretezza dell’uomo – più che recitato, quasi “clonato” – e dei luoghi per raccontare una storia tutta sua. E crediamo sia di questa storia, che sia giusto parlare.
E però, in questo luogo virtuale così politico, come si fa a prescindere da Craxi? Rispetto al film, si può parlarne solo in antitesi. Qualunque sia la vostra posizione sul leader socialista, di ammirazione o di repulsione, di condivisione o di distanza politica, vi avvertiamo: il film non la soddisferà! Se ritenete che Craxi sia stato un grande statista e un Presidente del Consiglio “con le palle” (allora lo si diceva, anche dentro il Pci), rimarrete delusi nel vedere come l’episodio di Sigonella sia rievocato nel film dal nipotino che gioca con i soldatini sulla spiaggia. Se invece pensate che Craxi sia stato un ladro e basta, sarete a disagio nella sequenza in cui alcuni turisti italiani lo riconoscono sul lungomare di Hammamet e lo insultano (nella scena i turisti non fanno una bella figura). La verità è che il “Craxi politico” nel film non c’è, eccezion fatta per il prologo che ricostruisce il famoso congresso del Psi del 1989, con la piramide di Panseca e le percentuali bulgare (92%) che lo confermano segretario. Ma quella scena iniziale ha due scopi squisitamente cinematografici. Il primo: ricreare plasticamente una liturgia politica ostentata e molto kitsch, quasi da socialismo reale o cinese – proprio nell’anno, l’89, in cui i muri cadono e quel socialismo implode. Non a caso Amelio ci fa ascoltare a tutto volume l’Internazionale proprio mentre il personaggio (immaginario) del tesoriere Psi avvicina di soppiatto il segretario nel momento del trionfo, per dirgli di stare attento, che la magistratura indaga e la fine è vicina: per tutto il resto del film la musica di Nicola Piovani lavora su una sorta di “implosione” o di deformazione di quella melodia così emozionante, come a sottolineare lo sgretolamento dell’Internazionale, quindi di un mondo e di un ideale. Il secondo: far partire proprio da lì la narrazione romanzesca, perché il monito è un po’ anacronistico (Mario Chiesa verrà arrestato solo tre anni dopo e Tangentopoli esploderà nel 1992) ma serve, ad Amelio e al suo sceneggiatore Alberto Taraglio, ad avviare la storia. Sì, la “storia”, con la minuscola. Perché ad Amelio interessa quella, non la “Storia” con la maiuscola. Sembra che il regista abbia seguito la lezione di Mario Monicelli, che diceva sempre (ironicamente): “Detesto le scene madri, io giro solo scene figlie”. E “Hammamet” è un film di “scene figlie”, a cominciare da quelle che riguardano Anita.
Sappiamo benissimo che Craxi aveva il culto di Garibaldi e non è un caso che nel film Favino canticchi “Garibaldi fu ferito / fu ferito ad una gamba”, proprio mentre il diabete lo divora e lo mette a rischio di amputazione. Quindi Anita (anziché Stefania) non è un nome qualsiasi. Ma non lo è neanche Fausto, il nome del figlio del tesoriere (nel frattempo suicidatosi… forse!) che ricompare nella villa in cerca di vendetta, o in cerca di un altro padre. È il nome di Fausto Rossi, il giovane non-attore che interpretava il figlio del professore in odore di terrorismo nel primo film per il cinema di Amelio, il bellissimo Colpire al cuore. Fausto Rossi tra l’altro è il figlio del grande architetto Aldo Rossi, e “Rossi” è un nome-feticcio nella filmografia di Amelio, visto che si chiama Andrea ROSSI il giovane protagonista di Le chiavi di casa, film a sua volta interpretato da Kim ROSSI Stuart, e si chiama Livia ROSSI la giovane attrice – scoperta proprio da Amelio in L’intrepido – che qui interpreta Anita. Se uno si prende il tempo di scavare nel cinema di Gianni Amelio, non solo scopre molte sorprese, ma può giungere alla conclusione che tutti i suoi film siano remake “nascosti” del suo esordio cinematografico, che secondo molti resta il suo capolavoro (secondo chi scrive, almeno alla pari di Il ladro di bambini e di Il primo uomo).
Veniamo al sodo: perché Stefania Craxi diventa Anita? In primis perché il personaggio NON È Stefania Craxi, che conosciamo come produttrice cine-televisiva e donna politica molto in vista. Anita nel film è una figlia completamente dedita al padre: lo accudisce, lo protegge, lo stimola, lo sgrida, lo tiene in vita. E poi perché Craxi nel film è in esilio come Garibaldi: senza stabilire parallelismi politici, Hammamet è la storia di un uomo potente che cade dal piedistallo e deve fare i conti con un mondo e un corpo (la malattia) che lo abbandonano. Nel figlio maschio non vede nulla di sé (immaginiamo che a Bobo il film non possa davvero piacere…) e si attacca a questa figlia guerriera… e a questo Fausto, il figlio dell’amico morto che ricompare dal nulla. Forse – come dicevamo – Fausto è venuto a Hammamet per vendicarsi, ma la villa diventa la sua casa e Craxi lo sceglie come confidente. Anita non lo vorrebbe lì, non lo sopporta. Ma nel finale – che non va rivelato – i due saranno costretti a riincontrarsi. In ultima analisi Hammamet è la storia di una figlia legittima e di un “figlio” acquisito che si contendono la memoria del genitore, esattamente come in Colpire al cuore il figlio legittimo doveva confrontarsi con una “figlia-amante” (la giovane terrorista interpretata da Laura Morante) che gli aveva sottratto la confidenza e l’amore del padre. Cambiano i sessi, non cambia la dinamica.
Insomma, Amelio ha preso gli ultimi giorni della vita di Craxi e ne ha fatto una tragedia greca, ripercorrendo l’eterna ricerca del padre che è il vero tema sotterraneo di tutta la sua opera. Leggiamo che qualcuno lo rimprovera di non aver fatto un film “su Craxi e sul Psi”, di non aver preso posizione su Tangentopoli, di non aver messo nel film i fischi a Berlinguer, di non aver mai nominato né la Dc né il Pci, di aver creato personaggi (l’amante Claudia Gerini, il vecchio avversario politico Renato Carpentieri) che alludono senza avere nome e cognome… Bah! Gianni Amelio, con Hammamet, ha girato 11 film per il cinema, ai quali bisogna aggiungere film televisivi, cortometraggi, documentari… dovremmo conoscerlo, no? Dovremmo sapere che nei suoi film bisogna sempre guardare sotto l’apparenza, che sia essa la vita di Craxi, un romanzo di Camus o un “tema” forte come l’emigrazione albanese (Lamerica). Dentro le storie scelte da Amelio c’è sempre un’altra storia, che a volte si nasconde nelle citazioni. Qui, approfittando della (vera) cinefilia di Anna Craxi, la vedova, Amelio semina nel film tre sequenze di vecchi classici hollywoodiani intravisti in tv: Là dove scende il fiume di Anthony Mann, Secondo amore di Douglas Sirk e il terzo, quello con il titolo che rivela tutto, Le catene della colpa di Jacques Tourneur. Il titolo italiano sembrerebbe alludere alla parabola del vero Craxi, vero? Ma in originale questo meraviglioso noir con Robert Mitchum, Jane Greer e Kirk Douglas si chiama Out of the Past. E per capire cosa combina Gianni Amelio con i suoi film bisogna sempre vedere le cose che vengono “out of the past”, che sbucano da un passato che non vuole farsi dimenticare. E questo passato, percorrendo i 360 gradi, potrebbe riguardare anche la politica. Perché un’altra tragedia – italiana, non greca – contenuta nel film è che i tre grandi partiti che si combattevano nell’agone politico di fine ‘900 si chiamavano Dc, Pci e Psi e non ne esiste più nemmeno uno dei tre. Su questo, a latere di “Hammamet”, dovremmo interrogarci.
molto interessante, giusto giudicare il film per quello che è ma allora perché mettere in mezzo un personaggio così ingombrante e non inventarne uno ex novo? perché truccare Favino in quel modo così somigliante e poi Craxi non viene nominato.
Il film non mi è piaciuto e continua a non piacermi; troppo contorto, troppo lontano dalla limpida passione degli altri, troppo diverso da Il ladro di bambini