Come abbiamo già segnalato in un precedente articolo, è da poco uscito in libreria l’ultimo libro di Vittorio Lingiardi Al cinema con lo psicoanalista, [1] in cui sono state raccolte tutte le recensioni pubblicate per la rubrica Psycho da lui curata per il Venerdì di Repubblica. Per capire meglio l’approccio che Lingiardi ha con il cinema e l’assoluta fruibilità delle sue recensioni , pubblichiamo qui di seguito la recensione di Gabriella Giustino, comparsa di recente su il sito della SPI [2] Spiweb.it
la Redazione
L’ultimo contributo di Vittorio Lingiardi “Al cinema con lo psicoanalista”, è una testimonianza fresca e brillante di come uno psicoanalista può vivere, narrare, condividere ed esperire il cinema. E’ un tentativo, a mio avviso riuscito, di accompagnare il lettore (potenziale spettatore di un film) nell’esperienza emotiva-percettiva-sensoriale e muscolare di vedere un film.
Lingiardi descrive il suo modo di interagire col cinema che trasmette senza la presunzione di recensire film, ma con l’intento dichiarato di condividere storie cinematografiche partecipate e filtrate dalla sua esperienza di spettatore/analista.
Mentre leggevo mi sono chiesta: ma cosa succede nella mente di un analista sensibile e amante del cinema? Cosa accade in quel “buio condiviso” così prezioso che solo la “sala cinematografica” sa restituire?
La metafora onirica sul cinema è certamente molto affascinante; in fondo questo rito collettivo si svolge al buio e, quando si accende la luce nella sala, il sogno personale e collettivo s’interrompe lasciandoci (come al risveglio da un sogno) un po’ estraniati ma con tante immagini che si depositano nella mente, negli affetti e nella memoria, riemergendo, magari inaspettatamente, nel tempo della nostra vita.
Cinema e Psiche, scrive l’autore, sono fatti della stessa sostanza e sono fatti della materia dei sogni. Mi piace, a questo proposito, ricordare Grotstein (2000) che distingue un sognatore che comprende il sogno da un sognatore che lo esperisce e parla di “atto del sognare” come comunicazione inconscia intrapsichica che, solo secondariamente, attraverso il ricordo e la narrazione, svolge la sua funzione di comunicazione intersoggettiva ( in analisi).
Il modo in cui Vittorio racconta e ci trasmette i suoi PSYCHO (nome della rubrica del Venerdì di Repubblica di cui è autore dal 2015), va oltre la riflessione sul film ed è un “atto del vedere” parafrasando Wenders, che è anche dominio dell’azione oltre che della percezione sensoriale; corrisponde a quell’agitarsi sulla poltrona oppure rimanervi abbarbicati, piangere, ridere, emozionarsi e palpitare anche nel corpo.
Direbbe un altro Vittorio (Gallese) [3] che la visione di un film attiva il sistema mirror del nostro cervello generando quella simulazione incarnata che è alla base dell’empatia, aspetto centrale della funzione analitica .
L’empatia incarnata con cui Vittorio ci trasmette la sua esperienza partecipata del cinema è a mio avviso la cifra di questo contributo che è organizzato classificando i film in un poema ariostesco sulle vicende e le categorie umane.
Al cinema con me stesso premessa dell’autore, non rimanda infatti a un solipsistico piacere da cinefilo ma all’ esperienza trasformativa che il film può attivare in ciascuno di noi e che un analista può essere particolarmente capace di narrare svelandone, con leggerezza, “il lato oscuro”.
La libertà associativa di Vittorio Lingiardi che passa da film classici e molto datati a recentissimi contributi, crea un piacevole disordine nella lettura e rivela un sano e spontaneo appetito cinematografico, restituendoci una serie di esperienze vissute utili alla comprensione del nostro mondo interiore e del mondo che ci circonda.
Il libro, infine, è anche un omaggio al “cinema perduto” di tutti noi, in questo tempo di pandemia.
Stamattina al mio primo risveglio, dopo un sogno enigmatico che cercavo di decifrare dentro di me, ho visto l’immagine di San Francisco come Marte, tinta di rosso mentre un passante sul Golden Gate, con la mascherina sul volto, guarda perplesso il cielo. Ho pensato inevitabilmente a Blade Runner di Ridley Scott e, l’iperrealismo allucinato di quell’immagine mi ha fatto capire quanto ci manca adesso quel sollievo di poter pensare che era solo un magnifico film.
Note
[1] Vittorio Lingiardi. Al cinema con lo psicoanalista. Raffaello Cortina Editore, 2020
[2] Società Psicoanalitica Italiana
[3] Vittorio Gallese,Michele Guerra. Lo schermo empatico. Raffaello Cortina Editore, 2015