di Gianni Sarro
Il 29 giugno ricorrono venti anni dalla scomparsa di Vittorio Gassman. Ci sembra doveroso ricordarlo con un ritratto a tutto tondo, partendo dalla sua brillante carriera teatrale e arrivando a quella molto più tormentata nel cinema. A delineare questo ritratto è Gianni Sarro che continua a regalarci ritratti indimenticabili dei più grandi artisti del teatro e del cinema.
la Redazione
Pochi giorni fa in un tweet il figlio Alessandro ha scritto: ‘Ricordatelo, ma con un sorriso’. E come potrebbe essere altrimenti. Vittorio Gassman è stato uno dei più grandi attori della storia del teatro e del cinema. E il ricordo di un grande artista non può che essere allegro e gioioso. Gassman ha regalato magnifiche ed indimenticabili interpretazioni. Sul palcoscenico, oltre i più significativi personaggi shakespeariani, da Amleto ad Otello a Macbeth, ha lasciato una traccia indelebile con «Oreste» di Alfieri (1949), «Peer Gynt» di Ibsen (1950), «Prometeo incatenato» di Eschilo (1954), «Kean, genio e sregolatezza» di Alexandre Dumas (1955), «Adelchi» di Manzoni (1960), «Edipo Re» di Sofocle (1960), «Ulisse e la balena bianca» di Melville e altri autori (1992). Se a teatro Gassman ha un successo immediato, col cinema l’approccio è più complesso. Lo racconta egli stesso: “Fu interamente negativo. Avevo un fisico aitante, ma una faccia che risultava molto dura. I miei ruoli erano sempre quelli dell’antagonista. E i film generalmente brutti” [1].
Il rapporto tra cinema e Gassman è tuttavia destinato a cambiare, grazie all’incontro con tre grandi autori: Mario Monicelli, Dino Risi, Ettore Scola. Sul finire degli anni cinquanta la prima svolta della carriera cinematografica di Gassman grazie a Monicelli che lo dirige in I soliti ignoti (1958). Film ponte, che unisce due Italie, quella dell’immediato secondo dopoguerra, rurale, povera, profondamente analfabeta, con quella sull’orlo del transitorio boom degli anni 60. Il film mostra un gruppo di malconci sbandati, che cercano di sbarcare il lunario progettando imprese più grandi di loro, inevitabilmente destinate a fallire per manifesta inadeguatezza. Gassman con Peppe er Pantera inaugura una memorabile galleria di protagonisti che sono entrati nell’immaginario collettivo. Il personaggio di Peppe nasce destrutturando fisicamente Gassman. Per renderlo credibile nei panni del capobanda arruffone e inabile, Monicelli cambia i connotati dell’attore.
I soliti ignoti, 1958 La grande guerra, 1959 Monicelli e Gassman sul set di L’armata Brancaleone, 1970
Ovatta nelle narici e nel labbro, parrucchino. Tuttavia la scommessa più rischiosa è quella di disarticolare la dizione perfetta e classica di Gassman, che nel film è balbuziente. Monicelli e Gassman si ritrovano quasi subito in La grande guerra (1959) che vede Alberto Sordi come coprotagonista. Interessante il confronto con Sordi. I due grandi attori mettono in scena due maschere profondamente diverse ed ugualmente comiche. Vile, untuoso, falso, ipocrita, bugiardo l’Oreste Iacovacci di Sordi. Cialtrone, sbruffone, malfidato, egoista, fanfarone il Giovanni Busacca di Gassman.
Nel 1960 avviene l’incontro con Dino Risi. Il regista ha l’intuizione di far uscire il personaggio gassmaniano dalla caratterizzazione, dal farsesco, lasciando affiorare la vena comica e prepotente di Gassman senza bisogno di stravolgergli i connotati. Possiamo apprezzare questa nouvelle vague gassmaniana nel prologo di Il mattatore (1960). Gassman è Gerardo Latini.
Il sorpasso, 1962 Vittorio Gassman e Dino Risi
La mdp ce lo mostra mentre scende contromano dal bus, rovescia maldestramente le arance che ha in una busta, rischia di essere investito da una moto, ed infine impreca con un gesto che diverrà uno stilema della futura recitazione gassmaniana. Gerardo Latini è l’archetipo di una lunga serie di personaggi per interpretare i quali Gassman non dovrà più indossare travestimenti. Passano due anni e l’interpretazione di Bruno Cortona, grazie alla quale fece incetta di premi, tra cui un Nastro d’Argento, lancia Gassman definitivamente nel firmamento cinematografico. Il film, l’avrete capito, è Il sorpasso, (1962) . In questo film, sceneggiato anche da Ettore Scola, (partecipazione importante, ci torneremo tra poco), Risi tocca temi come lo spaesamento dell’individuo, alla ricerca di qualcosa che ignora. Più che velleitario ed ingenuo qui Gassman è cinico, furbastro, affabulatore. Inquadratura dopo inquadratura Bruno (servendosi dell’automobile) penetra lo spazio, va avanti, conquista spazio (Risi per mostrarci le irruzioni di Bruno ferma la mdp sugli spazi vuoti, descrive tempi morti, ma il ritmo della musica maschera questo attardarsi). Tuttavia il movimento di Bruno è un’occupazione vana, lo spazio che occupa è vuoto, non c’è nessuno, la città sembra un cimitero. Bruno e la Lancia Aurelia sono simbolo e sintesi di sorpassi apparenti, viaggi mancati, giri a vuoto.
Il tempo trascorre, si chiude il decennio, iniziano gli anni settanta. Lo spavaldo, velleitario, rodomontico Bruno chi è diventato? Lo possiamo vedere in Profumo di donna sempre di Risi (1974). Gassman è Fausto Consolo, un ufficiale cieco, personaggio che sfugge a qualsiasi pietismo, tanto è, per quasi tutta la durata del film, sagace, cinico, acido e sprezzante. Tuttavia nel finale, Fausto afferma di sentirsi: “Un undici di picche. Un uomo che non esiste”. Ecco compiuta la trasformazione di Bruno. Un uomo che è sempre stato incapace di vedere ed evitare i burroni di cui era disseminato il suo percorso.
Terzo essenziale matrimonio cinematografico di Gassman è quello con Ettore Scola, che deve il suo esordio dietro la macchina da presa proprio al Mattatore (come abbiamo ricordato in un precedente articolo) [2]. Scola mostra nel suo cinema la difficoltà del Belpaese che non ha saputo tesaurizzare la circostanza positiva dell’effimero boom economico. Per mostrare il degrado dei costumi della società italiana non è più sufficiente l’irrisione, il ghigno. Oltre che di La terrazza (1980) Gassman è protagonista di due film emblematici della filmografia di Scola: C’eravamo tanto amati (1974) e La famiglia (1986). In C’eravamo tanto amati, Gassman è Gianni Perego. Il personaggio incarna il fallimento degli ideali della Resistenza, delle ideologie, del progresso sociale. Gianni, quando lo vediamo all’inizio del film è , prima, un coraggioso combattente della resistenza, poi un giovane e brillante avvocato. Tuttavia, basta l’incontro con Romolo Catenacci (un eccellente Fabrizi), palazzinaro romano gargantuesco e filibustiere per corromperlo e farlo diventare un arrivista senza (apparenti) scrupoli. Soffermiamoci brevemente su una scena del film. La mdp di Scola mostra Gianni in un autodemolitore. Ipotizziamo, azzardiamo. L’immagine di Gassman circondato da carcasse di automobili sembra un’ideale prosecuzione (più che una citazione) del finale di Il sorpasso, sceneggiato anche da Scola, ricordiamolo. Forse Scola ci vuole mostrare che avevano visto bene lui e Risi? E che dopo il boom non solo la Lancia Aurelia di Bruno è finita nel dirupo, ma anche tante altre, troppe automobili. Come abbiamo scritto alcune righe sopra, ma giova ripeterlo, l’auto è ne Il sorpasso così come in C’eravamo tanto amati, un simbolo dell’Italia degli anni del boom, che di lì a pochi anni fuoriesce drammaticamente di strada.
La famiglia è un film corale, che ha però un perno centrale, Gassman qui nei panni di Carlo, un professore universitario, del quale è narrato l’arco di tempo che va dalla nascita al compimento dell’ottantesimo anno di età. Gassman, ormai padrone della recitazione cinematografica, dà a Carlo un profilo malinconico, afflitto dalla consapevolezza di aver trascorso, nel bell’appartamento romano nel quartiere Prati, una vita serena, tuttavia velata da un sentimento di nostalgia per alcune scelte che, forse, potevano essere più coraggiose.
Con Scola, Gassman gira il suo penultimo film La cena (1998), altro film corale, dove la narrazione attraverso l’unità di spazio rappresenta lo sviluppo del tempo. Il personaggio interpretato da Gassman è più defilato, il tempo delle smargiassate è alle spalle. È, piuttosto, il momento di dare vita ad un protagonista più disincantato, comprensivo, come lo sguardo dello stesso Scola, che lungi dal voler cambiare il mondo attraverso il cinema, continua una preziosa, irrinunciabile, opera di testimonianza. Attraverso uno sguardo lucido che svela il rammarico per alcuni appuntamenti mancati della propria esistenza.
[1] Vittorio Gassman, Intervista sul teatro, (a cura di Luciano Lucignani)Laterza, Roma-Bari 1982, pag. 93
[2] La storia raccontata dai film(5) Il mito di Vittorio Gassman: l’attore e l’uomo.