di Patrizia Montani
” San Pietro Magisano: alle spalle dell’abitato incombe il monte Femminamorta, quasi duemila metri, maestoso ingresso alla Sila; ma a levante la vista spazia sulla valle, fino alle marine gialle e azzurre e al riverbero dello Jonio quando l’aria è tersa. Nello sguardo del regista del Ladro di bambini c’è quel ragazzino che tanti anni prima dalle quattro case di san Pietro guardava lontano, immaginando la vita, le storie e gli uomini dei paesi che di sera si illuminano nella valle, come un presepe.”
( dal Corriere della sera, in occasione della presentazione a Cannes de Il ladro di bambini).
Lo sguardo oltre l’orizzonte di quel bambino è andato molto lontano e quando è tornato a posarsi sulla terra natia lo ha fatto con profonda emozione e in modo del tutto personale. La città del sole e Lamerica , a distanza di quasi 20 anni l’uno dall’altro,”tornano” in Calabria.
La città del sole
Realizzare un film su Tommaso Campanella era stato un sogno del regista fin dagli studi liceali e universitari.
L’opera del filosofo calabrese tra XV e XVI secolo teorizzava una società senza ingiustizie sociali, si prestava quindi a rappresentare uno dei tre leit motiv cari ad Amelio: conflitto fra adolescenti e adulti, tra cinema e realtà e, in questo caso ,tra utopia e storia.
Il film fu realizzato nel 1973 dalla RAI, in quegli anni impegnata in produzioni sperimentali.
L’azione si svolge a Napoli, nella prigione dove il filosofo è detenuto e in una spiaggia calabrese.
Campanella, accusato di insurrezione contro i dominatori spagnoli, si finge pazzo per evitare la pena di morte; contemporaneamente in Calabria, un monaco ed un giovane pastore analfabeta dialogano di utopia e di storia.
E’ del tutto evidente l’allusione del regista alla Calabria contemporanea, all’insopprimibile esigenza di giustizia sociale, al fascino eterno dell’utopia, in anni nei quali Marcuse pubblica
L’uomo a una dimensione ( uscito nel 1964 ma diffuso poi in tutto il mondo negli anni della contestazione giovanile).
Gianni Amelio si guarda bene dal fare un film biografico, né fa esporre le idee del filosofo da lui stesso. La forza e la bellezza del pensiero utopico traspaiono direttamente dai testi , tratti direttamente dal libro, dall’interpretazione dei due personaggi ( filosofo e monaco ) da parte dello stesso attore [1], nonché dallo stile asciutto , austero, potremmo dire pasoliniano[2]e dalla fotografia ispirata alla pittura napoletana del ‘600 [3].
Note
[1] L’attore che interpreta i due ruoli è Giulio Brogi, interprete di vari film
di Bertolucci, col quale Amelio ha molte affinità.
[2] Le analogie con Pasolini invece sono più complesse. Pasolini sostiene
che il cinema di poesia è quello che muove molto la mdp (macchina da
presa). Amelio, all’opposto, fa soprattutto cinema di prosa, con mdp quasi
immobile. Ne La città del sole, però, si stacca dalla sua modalità usuale e inserisce
molte carrellate e molti piani sequenza. leggi qui
[3] Domenico Scalzo ( a cura di) Gianni Amelio un posto al cinema. Edizioni
Lindau, 2001
Lamerica
Il film Lamerica [1] fu ispirato da fatti realmente accaduti: nell’agosto del 1991 sbarcarono in Puglia 10 mila albanesi. I profughi ammassati sul molo, poveri, disperati senza neanche una valigia, dissetati tramite pompe d’acqua, erano gli italiani ( in gran parte calabresi), partiti per l’Argentina negli anni ’50 senza neanche indosso i vestiti adeguati.
Il film, realizzato da Amelio dopo un viaggio in Albania con alcuni collaboratori, racconta i piccoli villaggi dove si parla un po’ di italiano , si sogna l’Italia ricca e opulenta davanti alla TV, soprattutto si percepisce, oltre al sentimento del dolore dell’emigrato, ben radicato nella nostra cultura, anche la sofferenza di chi resta, con preciso riferimento autobiografico del regista (Gianni aveva due anni e sua madre era malata per questo non poterono partire e seguire il padre in Argentina).
Gino (lo Verso) e Fiore (Placido) sono due italiani che sono in Albania per una truffa, fingono di voler impiantare una fabbrica di scarpe per fare facili quattrini.
Quando Fiore se ne va, Gino si trova da solo in un Paese che disprezza e quindi deve ripartire per l’Italia con una nave per migranti.
Nel film un gruppo di bambini “veri”, cioè non buoni, non innocenti, ruba le scarpe a Gino, con evidente citazione da Sciuscià, in realtà Amelio ha dichiarato esplicitamente che il suo non è un film neorealista, nè vuole esserlo; l’uso del Cinemascope, dice il regista, non è soltanto la scelta tecnica di un formato, è anche la scelta di uno sguardo spettacolare, “hollywoodiano”.
Tuttavia lo spettacolo non prevale mai rispetto alla profondità dello sguardo, il film è epico ma mai enfatico.
Presentato a Venezia ottenne soltanto un premio di consolazione. [2]
Note
[1] Il titolo del film, Lamerica tutto attaccato è suggerita dal modo di
pronunciare le due parole sia nell’Italia povera del dopoguerra sia
nell’Albania degli anni ’90; anche nel romanzo di Elsa Morante “La
Storia”, un bambino sogna, appunto, La Merica o Lamerica.
[2] Domenico Scalzo (a cura di) Gianni Amelio un posto al cinema. Edizioni
Lindau, 2001