a cura di Letizia Piredda
Wim Wenders in occasione della mostra primaverile della Fondation Beyeler dedicata a Edward Hopper (1882-1967), realizza un cortometraggio a tributo dell’iconico pittore americano intitolato Two or Three Things I Know about Edward Hopper e prodotto da Road Movies (già produttrice di pellicole di Wenders come L’amico Americano, The End of Violence – Crimini invisibili e Don’t Come Knocking – Non bussare alla mia porta), visionabile in 3D in una sala dedicata nello spazio del suggestivo edificio della Fondation Beyeler, ideato da Renzo Piano.
I dipinti di Hopper , dice Wenders, danno l’impressione a chi li guarda, che, di lì a poco, succederà qualcosa di tragico o di violento, vale a dire riescono a trasmettere una tensione, una vera e propria suspence.
C’è un libro intitolato Ombre, che raccoglie diversi racconti noir di autori famosi, uno per tutti Stephen King, che prendono lo spunto da un dipinto di Hopper. Un esperimento molto ben riuscito in cui gli autori sono entrati nel suo mondo trasformandolo in parole. [1]
Hopper sa fermare sulla tela un momento sospeso nel tempo: un istante con un passato e un futuro che lo spettatore è chiamato a rintracciare [2].
Nel suo corto Wenders sottolinea quanto la sua pittura ha influenzato il cinema, e quanto, il suo universo pittorico è stato condizionato dalla settima arte.
È palese come il mondo filmico influenzi le opere del pittore nativo di New York, in particolare la luce artificiale degli studi (Murnau, Fritz Lang, i film americani in bianco e nero degli anni ’20 e ’30), gli effetti del basso angolo, le prospettive distorte con uomini e donne soli. Per Wenders, Hopper, tra i pittori, è il più cinematografico, perché prende in prestito i codici della Settima arte: «La luce in Hopper è molto cinematografica. Fa inquadrature che non conosciamo in pittura. Improvvisamente c’è un pittore che prende l’inquadratura del cinema».
Ma dalla fine degli anni ’50 e ’60 accade il contrario: Hopper, nutrito dal cinema, diventa ispirazione per la Settima arte. Fra i celebri esempi di tale influenza abbiamo Alfred Hitchcock, ispirato da House by the Railroad – Casa Vicino alla Ferrovia e Windows at night – Finestre di notte rispettivamente per Psycho e La finestra sul cortile.
Lo ritroviamo ne Il grido, di Michelangelo Antonioni, con una stazione di servizio sperduta su di una strada nel mezzo del nulla. Più tardi, Terence Davis ricrea l’atmosfera strana e inquietante delle tele di Hopper per il suo film The Neon Bible – Serenata alla luna, Todd Haines crea repliche di scene dalle tele di Hopper, Jim Jarmush in Stranger Than Paradise – Più strano del Paradiso e Broken Flowers si riferisce alla sensazione di incomunicabilità che tormenta i dipinti di Hopper, David Linch in Mulholland Drive gira scene con donne bionde sole nella loro stanza, proprio come rappresentato nei dipinti di Hopper, Kevin Costner in Balla coi lupi si immerge in classici paesaggi simili a quelli del pittore.
Ma è soprattutto il cinema di Wenders che si è fuso con i dipinti di Hopper.
Lo vediamo ne L’amico americano e in The End of Violence – Crimini invisibili dove ricrea l’esatta replica del bar dell’iconica tela Nighthawks,
in Don’t Come Knocking – Non bussare alla mia porta e in Paris, Texas, entrambi attraversati dalle visioni di Edward Hopper, con i suoi paesaggi urbani di un’America che va alla deriva nella modernità e sprofonda in una solitudine esistenziale. «Sono sicuro che ha letto Sartre e Camus. Nella sua pittura trovo questa filosofia esistenziale, che non esiste in nessun altro dipinto: queste persone molto sole, isolate e questa sensazione che provavo quando da giovane leggevo Camus, lo trovo nelle immagini di Hopper».
Note
[1] AA.VV Ombre. Einaudi, 2017
[2] Lawrence Block in AA.VV Ombre, Einaudi, 2017
Bello, interessante e inaspettato.
immagini superbe