di Silvia Boccardi
Un bel concetto psicologico che qualche volta viene compreso solo in superficie è quello di ‘introverso’.
L’introverso, nel senso descritto da Carl Gustav Jung, non è per forza un tipo chiuso, più sfortunato del suo opposto estroverso che invece ha tanti amici ed è un allegrone, anzi qualche volta è proprio l’introverso che se la cava meglio.
L’interesse dell’introverso è rivolto verso se stesso, ma è un male? Ne consegue che pensa, sente e agisce in sintonia con le proprie necessità. Spesso lo fa pacificamente, senza isterismi e provocazioni e, mentre l’estroverso ha talvolta un disperato bisogno degli altri per dare valore a qualsiasi esperienza, l’introverso ha delle cose che lo interessano e gli danno piacere e nessuno gliele può togliere.
Se si appartiene alla categoria degli estroversi puri, andare al cinema da solo vuol dire essere arrivati all’ultima spiaggia della desolazione, ma invece per chi ha almeno un lato di ‘introversaggine’ questa può essere una profonda e intensa esperienza.
Sceglie il posto che vuole, spesso in fondo al cinema, dove può essere spettatore non solo del film ma anche della sala e degli altri spettatori. Appoggia il soprabito sulla sedia accanto, sgranocchia qualcosa che gli piace, poi stende, se possibile, le gambe… e via, parte il suo indisturbato viaggio nello spettacolo.
Giusto, condivido pienamente.Appartengo però ad una terza categoria: introversi che vanno al cinema in compagnia.