15 GENNAIO, 2020
proposto da Sandro Russo – l’articolo originale è su www.ponzaracconta.it
Un articolo recente di un amico su Ponzaracconta faceva notare la grave involuzione del riso nella nostra epoca e il fatto che “il neonato ride 300 (trecento) volte al giorno, mentre l’adulto solo 30 (trenta)”; in più mentre nel neonato il riso è sempre espressione di gioia vuoi per una carezza, per un sorriso, per una canzoncina, per un cibo, nell’adulto il riso si concentra in queste sole tre espressioni: si ride per nervosismo, in risposta ad una situazione di ilarità (per una battuta, situazione, barzelletta) o per deridere qualcuno o qualcosa.
Su questo tema mi permetto di aggiungere – analizzando una sequenza di Morte a Venezia di Visconti – una ulteriore categoria alle tipologie proposte: il riso amaro e/o disperato.
Questo è un brano del primo disco inciso in Italia, anno 1895):
‘A Risa’, di Berardo Cantalamessa
E questo è l’uso che ne fa Visconti nel suo mirabile film Morte a Venezia, Da YouTube la scena: “Ma perché disinfettano Venezia?”
Morte a Venezia è un film drammatico del 1971 diretto da Luchino Visconti (1906-1976) tratto dal romanzo (del 1912) La morte a Venezia dello scrittore tedesco Thomas Mann. Il film è il secondo capitolo della cosiddetta “trilogia tedesca”, di cui fanno parte anche La caduta degli dei (1969) e Ludwig (1972). Doveva completarsi in tetralogia con La montagna incantata, un altro lavoro di Mann; ma nel luglio del 1972, quando sono ormai terminate le riprese del Ludwig ma non ancora cominciato il montaggio, il regista viene colto da un ictus cerebrale che lo lascia paralizzato nella parte sinistra del corpo (sintesi da Wikipedia).
Film mirabile, si diceva, del regista già anziano. Notevole anche lo spostamento del senso che in Mann (che scrive a 37 anni) descrive uno scrittore di successo attanagliato dalla scoperta della sua latente omosessualità (pederastia) mentre in Visconti – che gira già anziano (ha 65 anni) e con una completa accettazione del suo orientamento sessuale – viene messa in scena in maniera intensa e poetica la sensazione angosciosa del proprio deterioramento fisico accostato allo sfacelo della città di Venezia (nel film il protagonista non è più uno scrittore, ma un compositore di successo). Mentre comune ai due artisti è la rappresentazione di un ideale di bellezza perfetta e irraggiungibile. Questa nel film ha i volti le forme stilisticamente perfette che solo Visconti sa comporre (su Il Gattopardo, in Ponzaracconta, leggi qui ): la ricostruzione d’epoca, gli arredi, i volti di Tadzius e della madre (Silvana Mangano) nel suo più maturo splendore.
Ritornando al breve siparietto musicale presentato sopra (4 minuti), bighellonando per il web si trovano interessanti notizie… Agli estimatori di Visconti cui è nota la meticolosità ossessiva del regista, poteva sembrare strano che i musicisti napoletani facessero solo “finta” di suonare; infatti non è così: è un vero gruppo di “posteggiatori” napoletani, capeggiati da Antonio Apicella che è poi il padre di Mariano Apicella, il musicante divenuto famoso dopo essere stato scoperto e lanciato da Berlusconi.
Ci siamo arrivati per un giro complicato, ma è stato un piacere rispolverare un po’ di cose di Morte a Venezia e rivedere le bellissime immagini di Silvana Mangano…
Ma di Morte a Venezia sicuramente ci ritroveremo a scrivere…