Quando un film offre occhiali nuovi

di Gianni Canova

Pubblichiamo molto volentieri questo articolo di Gianni Canova, comparso sul N. 47 della Rivista 8 1/2 , che ci dà alcuni elementi importanti per comprendere il fenomeno “Joker”.

Lo scorso anno era toccato a Bohemian Rhapsody. Quest’anno a Joker. Flussi improvvisi di innamoramento collettivo. Passa-parola enfatizzante e contagioso. Meccanismi di inclusione e ripartizione sociale fra i sostenitori (tantissimi) e i detrattori (molti meno, ma tenaci) dei predetti film. Quando capitano fenomeni simili, quando le sale sempre più desolantemente disertate all’improvviso si riempiono, e vedi code fuori dai cinema, e senti che del film ne parlano al bar, e capita perfino che la portinaia o il ben-zinaio ti chiedano se vale davvero la pena di vederli (“vale la pena?”, mi hanno chiesto proprio così…), allora vuol dire che un film trascende i confini pur nobili dello spettacolo cinematografico e diventa a suo modo un sismografo sociale. Lo scorso anno, nel caso di Bohemian Rhapsody, il successo si poteva spiegare almeno in parte (ma solo in parte…) con il culto carismatico e transgenerazionale di un’icona intramontabile come Freddy Mercury.

Joachin Phoenix in Joker, 2019

Quest’anno, con Joker, il fenomeno è più complesso: quando un film funziona così vuol dire che intercetta fantasmi epocali, che fruga nelle anse nascoste dell’immaginario collettivo, che porta in primo piano e offre una valvola di scarico a pulsioni profonde. Non c’è marketing che tenga: qui è il prodotto-film innanzitutto che funziona, che piace tanto alla giuria della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia quanto al pubblico popolare, e che sa dialogare in profondità con il proprio tempo, anticipandone i bisogni e offrendo a tutti nuovi occhiali emozionali per vedere meglio il mondo.

Joachin Phoenix e il regista Todd Phillips

Il problema è che un tempo molti film erano costruiti così, o avevano quanto meno questo obiettivo di fondo, mentre ora Joker sembra una rara avis, un gioiello isolato in mezzo a una produzione che ormai o insegue i solipsismi di certo cinema d’autore o si adagia nella sciatteria di un cinema popolare confezionato senza passione e senza convinzione. In questo numero di 8 1/2 ci occupiamo di marketing del cinema, di come innovare i modi e le forme con cui i film vengono promossi e comunicati. È una riflessione importante e non più procrastinabile. Ma a condizione di non dimenticare mai che il marketing può ben poco se non c’è, prima, un prodotto da Offrire, se non ci sono film capaci di accendere la fantasia e di incrementare l’esperienza emotiva del pubblico che dovrebbe comprare il biglietto per entrare al cinema. In Italia più che altrove.

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