di Sandro Russo
Volentes fata ducunt; nolentes tradunt
[Proverbio latino]
È un tema avvelenato, quello del cambiamento, per le resistenze che ciascuno vi oppone; e anche un argomento di cui tutti parlano, per eluderlo; quello che tutti dicono di voler affrontare, per allontanarsene il più possibile.
Cambiamento è nella natura del mondo, nell’essenza della vita; nel tempo e nelle stagioni. Cambiamento è nella morte.
Nella vita di tutti i giorni è una piccola morte.
Ma onestamente: chi mai vuole affrontare la morte, pur sapendo che esiste e che ci toccherà, prima o poi? Meglio poi, sperando che ci prenda all’improvviso, senza troppo dolore e magari senza che ce ne accorgiamo.
Così il cambiamento: resistiamo con tutte le nostre forze finché non ci travolge e ci trascina con sé. Poi, quando il vortice, nostro malgrado, ci ha presi, ci troviamo a dibatterci, ad annaspare. Solo allora, per non morire, riusciamo a- /ci troviamo a- / accettiamo di- / cambiare.
Cambiamento non si fa per le chiacchiere o i consigli degli altri.
Quando si sentono degli esempi, si sa bene come verranno utilizzati: per dire – Mica riguarda me..! – oppure per pararsi anche su quel fronte, casomai fosse rimasto scoperto.
Il regista che più ha parlato di cambiamenti, tanto da poterlo considerare il tema centrale delle sue opere, credo sia stato Kieslowski. Forse per questo è tanto impegnativo, anche sgradevole a volte, vedere i suoi film.
Insopportabile è già l’episodio iniziale del Decalogo (…e pensare che gli episodi sono dieci..!).
In Decalogo 1: “Io sono il Signore dio tuo. Non avrai altro Dio all’infuori di me” – un padre razionale e positivista ha come unico amore nella vita il suo bambino. Vigila su di lui e pensa che la sua attenzione possa prevedere tutto; anche lo spessore del ghiaccio su cui il bambino gli chiede se può andare il giorno dopo a pattinare. Il padre controlla, calcola al computer e dà il suo parere favorevole.
Ma nella notte un barbone accende il suo fuoco proprio sul limitare del lago ghiacciato dove il bambino andrà l’indomani a pattinare…
In Decalogo 2: Non nominare il nome di Dio invano – c’è l’angosciante sequenza di una mosca invischiata nel miele, sul fondo di una tazza di thè; sul letto a fianco, un uomo ancor giovane, tra la vita e la morte. Entrambi hanno le stesse, minime possibilità di venirne fuori.
La mosca – e l’uomo – poi si salvano, ma niente sarà più uguale a prima…
Il mio incontro con Kieslowsky é avvenuto in un momento della vita in cui cercavo di dare parole ad uno stato d’animo inesprimibile. Ed è successo che per caso mi sono trovato a veder scorrere sullo schermo proprio quella situazione, le stesse emozioni tra cui mi dibattevo. Da allora in poi da lui ho accettato tutto. La lentezza, il malessere; anche passare buona parte del film senza capire dove volesse andar a parare
Il film era Decalogo 3 – Ricordati di santificare le feste.
Poi ho trovato la raccolta di tutti e dieci i film del Decalogo, ma il 3 non mi è bastato il cuore, per rivederlo. Perciò la sintesi che ne farò sarà probabilmente travisata da falle nel ricordo e dalle mie sovrapposizioni.
“ ..Interno di una casa di Varsavia, la sera di Natale: c’è l’albero preparato, le scatole pronte per i regali; si intuisce la presenza di bambini. Lui riceve una telefonata. Risponde a bassa voce; la moglie cerca di capire di cosa si tratta, ma non riesce a sentire le parole. Lui inventa una scusa; dice che esce: non sa quando tornerà.
– Con questo freddo e la neve? – dice lei. Lui sbatte la porta dietro di sé.
Esterno nella livida Varsavia dei film del Decalogo (una mia amica polacca la odia, ma dice che è proprio così). L’uomo incontra una donna che conosce bene; lasciano la macchina di lei e si muovono con quella di lui. Lei gli dice che ha bisogno di aiuto; il suo uomo è scomparso, è preoccupata. Lui si mette a sua disposizione, seguendo le sue confuse indicazioni, frammenti di fotografie, vecchi indirizzi. Fanno il giro dei posti di Polizia, delle Accettazioni degli Ospedali, delle prigioni piene di ubriachi; visitano la Morgue. Vengono inseguiti da una macchina della Polizia, vanno quasi fuori strada; visitano un vecchio appartamento.
Tra i due non c’è amore – forse c’è stato in passato – e da parte di lui un’insofferenza crescente. Malgrado tutto lui la segue e ne asseconda i capricci.
Questo non comprendere le motivazioni dei due personaggi aumenta il malessere dello spettatore, come se non bastasse la discesa nei gironi d’inferno della Varsavia di notte: la visione dei corpi nudi dei morti, la violenza della polizia, il vomito degli ubriachi.
Non trovano tracce dell’uomo che lei sta cercando, anche se lui è sempre meno convinto, da pochi segni che ha rilevato qua e là, della reale esistenza dello scomparso.
E ha ragione di esserlo, perché lei – come gli rivela alla stazione ferroviaria poco dopo che l’orologio ha battuto la mezzanotte – si è inventata tutto; non c’è nessun uomo da cercare; solo aveva giurato a se stessa che mai più nella sua vita avrebbe passato da sola la notte di Natale.
L’uomo non è arrabbiato. Sembra sollevato, anzi. Tornano dalle parti della casa di lui e lei riprende la sua macchina. Lui torna a casa.
La moglie si è addormentata su una poltrona, vicino all’albero, avvolta in una coperta. Lui cerca di non far rumore, ma lei si sveglia: si vede che ha pianto.
Gli chiede: – Ora comincerai di nuovo ad uscire la notte?
– No, ora non più – dice lui.
Questo il film: crudo e cifrato ‘alla Kieslowski’.
Il catalizzatore è lo spettatore.
K. manda messaggi universali e senza tempo che occasionalmente raggiungono un recettore sensibile. Che può essere sensibile una volta e completamente chiuso qualche anno dopo: allora il film che si prova a rivedere, delude.
Tornando a me, mi dibattevo a quel tempo nell’incapacità di pagare un debito; l’amore era finito, ma il debito restava. Ne sentivo il peso e la forza.
Il debito l’ho pagato alla fine, molti anni dopo, anche se farlo mi ha cambiato la vita.
A Kieslowski sono stato sempre legato per quella prima epifania…
Tranquilli… Non li devo raccontare tutti, gli episodi del ‘Decalogo’…
Ma come non dire de ‘La doppia vita di Veronica’ – il più misterioso e intrigante dei suoi film, a mio parere – dove le vite speculari di due giovani donne – interpretate dalla stessa attrice, la brava e bella Irene Jacob – si differenziano proprio in base alla capacità di cambiamento, con esiti drammaticamente diversi…
E si continua così… ogni volta è identificabile nella trama – più a posteriori che al momento – un punto in cui una perdita, un’agnizione, una lettera, un evento inaspettato provocano una svolta, dopo la quale tutto sarà diverso. Sono film rigorosi ed essenziali, che nulla concedono al piacere dello spettatore; anzi egli si trova a lungo a disagio, fino a che non è entrato nel mondo e nel modo di raccontare del regista.
Ma torniamo al cambiamento…
Il cambiamento si rifugge come la peste; ma più che cercarli, i cambiamenti si subiscono.
Quando qualcuno dice di aver innescato di propria volontà un cambiamento, probabilmente si sopravvaluta, mente o dice solo parte della verità. Vuole dire che la situazione gli/le era diventata così insostenibile da non poterla più vivere; non poteva continuare se non al prezzo di morirne. Infatti il cambiamento è tanto doloroso da sentirsi disposti a pagare qualunque prezzo per allontanarlo da sé. Quelli che in nome di grandi motivazioni o ideali – ma più spesso per coercizione ineludibile – hanno fatto l’esperienza di un vero cambiamento, a volte ne restano attoniti. Sempre, comunque, si sceglie il male minore.
Tra l’altro, opporsi al cambiamento… si può?
A volte, come quando c’entra la Comare Secca, questa possibilità non è concessa. Ma anche senza tirare in ballo la morte, gli eventi che stanno dietro a un cambiamento sono di natura così assoluta, globale e distruttiva da somigliare ad essa un po’.
Diffidare sempre dei cambiamenti indolori, delle chiacchiere su di essi, delle apparenze esterne; molte volte, secondo una logica da ‘Gattopardo’: si fa finta di cambiare tutto per non cambiare in sostanza niente.
Chi è coinvolto in un ‘cambiamento’, mentre sta accadendo ne parla molto poco; come i malati veramente gravi, che non si lamentano mai…
Ora – quali che siano state le motivazioni e le modalità intercorse – il cambiamento si è determinato.
Ci si trova spaesati in questo nuovo mondo: cambiati i luoghi, i punti di riferimento, le persone… Il più delle volte, non potendo affidarsi a sicurezze esterne – tutte mutate – si riparte dal nucleo più interno e affidabile. Si ricomincia da se stessi.
È qui che a volte si trovano sorprese… Ma il discorso diventa troppo lungo.
Eravamo partiti da Kieslowski. Non aspettiamoci sconti!
Kieslowski (1): https://odeon.home.blog/2019/10/18/kieslowski-la-necessita-di-comprendere/