QiQiu (Balloon) di Pema Tseden, 2019, sezione Orizzonti
di Francesca Caneva
Tibet, anni ’90. Una famiglia di pastori, alle prese con il gregge delle pecore da accudire (per la monta bisogna andarsi a prendere in prestito il montone, e tenerselo legato in grembo sulla motocicletta) e le faccende di casa; il vecchio nonno, amato e rispettato, che lavora mormorando le sue preghiere e borbotta davanti alla modernità che avanza e che si intravede nello schermo di un rudimentale televisore; Drolkar, madre già di tre figli, presa dalle fatiche domestiche e soprattutto dalla preoccupazione di non averne altri, vietati dalla legge sulla demografia cinese; eventualità tutt’altro che remota, vista l’esuberanza del marito Dargye, e visto che i preservativi che le passa la dottoressa del villaggio non bastano mai; i due vivacissimi bambini, tra l’altro, credendoli palloncini, li prendono dal lettone dei genitori per gonfiarli e giocare, o scambiarli per un fischietto col figlio dei vicini, creando non pochi imbarazzi e noie a Drolkar e al marito.
Mentre Drolkar scopre con terrore di essere di nuovo incinta, l’adorato nonno muore, e il lama rivela che sta per reincarnarsi nella famiglia. Cosa fare? Obbedire alla legge degli uomini, che impone l’aborto il più rapidamente possibile, o alla legge divina, che impone un sacro rispetto nel ciclo infinito della vita e della rinascita? Non dà risposte il regista, Pema Tseden: lascia che sia la storia, che siano le immagini, la magnifica e suggestiva fotografia, i gesti, il realismo delle situazioni, la poesia e l’incanto degli sguardi, a scavare nello spettatore il dubbio e l’interrogativo su ciò che è giusto, ciò che è buono, ciò che è meglio.
In sala, gli attori protagonisti, il regista, lo sceneggiatore e il direttore della fotografia indossano tutti abito nero e bianca sciarpa tibetana.
Segue
per leggere Venezia in pillole (10) clicca qui:
https://odeon.home.blog/?p=1676