Seberg, di Benedict Andrews, 2019, Fuori Concorso
di Francesca Caneva
Jean Seberg, l’attrice francese resa celebre nel 1960 dal film di Godard “Fino all’ultimo respiro”, al suo arrivo negli USA conosce Hachim Jamal, attivista del movimento delle Black Panthers, e ne diventa ben presto sia amante che appassionata sostenitrice e finanziatrice.
Quel che non sa ancora è di essere per questo una sorvegliata speciale dell’FBI, che nell’ombra la fa spiare, pedinare, ne intercetta incontri, movimenti, telefonate, e finirà col distruggerle l’esistenza. A poco gioveranno i tormenti e i tardivi scrupoli di coscienza dell’agente federale responsabile del suo fascicolo. Più che un biopic di Jean Seberg, il film è costruito come un poliziesco o un thriller: lo spettatore segue la Seberg insieme agli agenti, la osserva in soggettiva dalle fessure delle imposte, dal teleobiettivo di un cannocchiale, ne ascolta i dialoghi dalle cimici nascoste nella sua stanza .
Magnifica la ricostruzione dei favolosi Sessanta con gli outfits, le acconciature, il mobilio e il sound dell’epoca; ottima l’interpretazione di Kristen Stewart. (ma notevole anche Zazie Beetz, nel ruolo della moglie cornificata – e comprensibilmente inferocita – di Jamal). Forse non bastano a farne un capolavoro, ma certamente un film ben fatto, che si fa guardare senza annoiare.
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