di Letizia Piredda
Vi ricordate Quo Vadis? (1951) nell’adattamento di Hollywood, con Deborah Kerr e Robert Taylor? Uno dei Kolossal del genere Peplum davvero indimenticabile. Nella vicenda spicca un personaggio secondario: è il servo Ursus , un gigante dalla forza prodigiosa, ma dal cuore gentile. E’ il protettore della cristiana Licia, e, più di una volta interviene in sua difesa. Ma la vicenda clou del film è quella dell’arena, dove vengono uccisi i cristiani colpevoli , secondo Nerone, di aver appiccato il fuoco a Roma. Licia è legata ad un palo di legno al centro dell’arena. Viene fatto entrare nell’anfiteatro un toro selvaggio, ed Ursus l’enorme guardia del corpo di Licia, deve cercare di difenderla dall’animale a mani nude.
Quando ormai sembra tutto perduto, Ursus, con forza sovrumana riesce a spezzare il collo del toro, salvando Licia.
Vi chiederete : ma come mai un richiamo a questo film?
E’ da due o tre giorni che sono tornata da Trieste: la mia prima visita a questa città dalle mille sfaccettature, imprendibile , solenne nella sua architettura austroungarica e avvolta in quell’atmosfera mitteleuropea che tanto l’ha caratterizzata in tutte le sue manifestazioni sociali, culturali e politiche. Città di confine e, come tale, città contesa, città dalle mille storie per lo più sconosciute al turismo ufficiale, ma molto ben raccontate da Covacich , nel suo libretto Trieste sottosopra .
Si gira facilmente a piedi Trieste, soprattutto se si è abituati alle distanze di Roma. Più di una volta nel mio girovagare sono passata nella bellissima piazza dell’Unità d’Italia, dove uno spazio ampio si apre sconfinando sul mare, al punto che non si sa se è il mare a entrare nella Piazza o la Piazza a entrare nel mare. Più di una volta ho scorto con la coda dell’occhio una grande gru sul lato destro, ma il fascino della piazza , la fretta di raggiungere la meta prefissata per quel giorno, il caldo che in certe ore si fa sentire anche lì, non mi hanno dato il tempo di soffermarmici.
Solo quando la mia amica triestina, che , generosamente, mi dava in tempo reale numerose dritte sulle cose da vedere, sulle gite più belle, non che sui caffè storici e sui ristoranti più tipici, mi chiese se avevo visto Ursus, qualcosa si è messo in moto nella mia mente e dopo un momento di sconcerto, ho cominciato a collegare quel pezzo di gru, visto sbadatamente oltre piazza dell’Unità con l’incredibile storia, tutta triestina, di Ursus.
Questa gigantesca gru, Ursus, su ponte galleggiante risponde perfettamente nella sua storia e nelle sue mastodontiche dimensioni all’ Ursus di Quo vadis?
Dalla sua costruzione ,ancora sotto l’Austro-Ungheria (1913), fino ai primi anni di attività sotto l’Italia (1932), la struttura ha sempre lavorato instancabilmente da un angolo all’altro del golfo di Trieste, rendendosi disponibile, qualunque fosse il compito. Tra le tante imprese eroiche, va menzionata la rimozione pericolosa e sofferta dei relitti di navi sommergibili nell’Adriatico, con il rischio di un’esplosione delle tante mine lasciate dalla Seconda Guerra Mondiale..
La sua silhouette è immediatamente riconoscibile: 70 metri d’altezza, con una superficie di 1100 metri quadrati, una delle tre chiatte con gru d’epoca rimaste intatte non solo in Europa, ma in tutto il mondo.
La sopravvivenza di questo gigante di ferro sembra sia dovuta ad un suo uso estensivo , fino alla metà degli anni Novanta. In contrapposizione alla decadenza del porto nel secondo dopo guerra, l’Ursus grazie alla sua solidità ha continuato a lavorare a sufficienza tanto da garantirsi una buona pensione ed evitare, solo per il vivo interesse dei triestini e delle associazioni cittadine, un’ingrata distruzione.
Due giganti, sì ma dal cuore generoso: c’è ancora qualche speranza per noi tutti!
Mauro Covacich Trieste sottosopra. Editore La terza, 2006