Un viaggio affascinante nel quale vogliamo avventurarci, potrebbe essere quello nella storia, la storia attraverso i film : e sarà questo l’oggetto di alcuni interventi di Gianni Sarro , la storia raccontata dai film , cominciando da alcune tematiche del dopoguerra, di cui troviamo moltissime immagini nei film del neorealismo :
La fame nel cinema italiano (prima parte) di Gianni Sarro
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Il cinema nasce come arte di fascinazione, strumento creato per suscitare meraviglia. Nel breve volgere di pochi anni diventa un formidabile narratore di storie, capace, grazie all’illusione del movimento, di proiettare sullo schermo i sogni (non è certamente un caso che il cinema nasca pressappoco nello stesso periodo della psicanalisi freudiana) d’intere generazioni. Sono gli anni della stagione d’oro di Hollywood. Roma città aperta è uno dei titoli più conosciuti della cinematografia italiana, uno dei simboli del Neorealismo, girato da Roberto Rossellini nel 1945, vincitore della Palma d’oro a Cannes l’anno successivo, narra gli ultimi mesi di Roma occupata dai nazisti. Protagonisti sono Aldo Fabrizi (in una delle più belle interpretazioni della sua carriera) e l’indimenticabile Anna Magnani. La macchina da presa segue (“pedina” si scriverà più tardi in molti saggi critici, ma questo è un altro discorso) personaggi che non sono eroi, ma persone comuni che hanno come obiettivo quello di sopravvivere alla barbarie tedesca. La sequenza che ci interessa è quasi all’inizio del film, è la prima dove appare Anna Magnani. Nell’inquadratura iniziale della scena la macchina da presa ci mostra una folla composta in maggioranza di donne e bambini che rumoreggiano e cercano di entrare in negozio, è nella seconda inquadratura che però capiamo cosa sta accadendo, è un assalto in piena regola ad un panificio. In questa sequenza (che ricorda l’assalto al forno narrato da Manzoni ne I promessi sposi) la macchina da presa adotta il punto di vista dei più deboli e disperati, ossia donne, bambini, i soli due soli uomini adulti presenti non sono rappresentanti della ferocia criminosa nazi-fascista, anzi il poliziotto lo vedremo poi alla fine della scena che aiuta Anna Magnani a portare la sporta con il pane appena rubato. In questo caso i protagonisti sono attori non professionisti (De Sica rifiutò i soldi di una major americana che avrebbe voluto nel ruolo del protagonista Cary Grant). Una delle caratteristiche del film è che al problema iniziale (la mancanza di lavoro) si aggiunge il furto della bicicletta, mezzo necessario allo svolgimento del nuovi impiego, alla fine entrambi non vengono risolti. Assistiamo all’evolversi di una situazione, che non trova soluzione. De Sica mostra una Roma privata di ogni fascino, i luoghi dove vanno Antonio, l’adulto, e Bruno, il bambino, sembrano tappe di un calvario, come sottolineato anche dalla pioggia torrenziale che sorprende padre e figli quando sono nei pressi di Porta Portese (anche in Roma città aperta Rossellini mostra spazi urbani poco convenzionali, quali la periferia dei quartieri Prenestino e Tiburtino). La negazione di un riconoscimento forte della città mostrata si deve alla volontà di Vittorio De Sica di non connotare il film con luoghi ascrivibili solo a Roma, ma come specchio dell’intero Paese. Nel loro girovagare per Roma alla ricerca della bicicletta che si protrae dall’alba (in un certo senso Ladri di biciclette è un road-movie) padre e figlio decidono di fermarsi in una trattoria. Appare subito evidente il cambiamento avvenuto in confronto a Roma città aperta, lì per procacciarsi un elemento di base come il pane, la folla doveva prendere d’assalto un panificio, invece nel film di De Sica un adulto e un bambino pur vivendo ai margini della povertà possono comunque decidere di andare in trattoria. La scena della trattoria è movimenta dal gioco di sguardi che s’innesca tra Bruno e un altro bambino che sta pranzando in un tavolo accanto. Basta un’occhiata per capire che quel bambino è di famiglia agiata: per i vestiti che indossa, per come è pettinato, per l’uso adeguato delle posate. Viceversa Bruno indossa vestiti stazzonati e bagnati per la pioggia, è spettinato e le posate sono due nemici imbattibili, tanto che alla fine il piccolo mangia la mozzarella in carrozza con le mani. |